Mutano le circostanze ma non la genetica, la necessità diventa virtù per la storia che riparte. Se ce ne accorgiamo
di Paolo Marra
Resilienza significa superare eventi incontrollabili facendo della crisi il segnale d’allarme che ci indica la direzione verso cui incamminarci per il rinnovamento del pensare il mondo e la parte occupata di ognuno di noi nel suo divenire. È un agire propositivo delle idee che marca l’agire collettivo fatto di coscienti azioni individuali. Potremo chiamarla creatività al servizio dell’altro per immaginare la luce in fondo al tunnel ancor prima di vederla. Sia chiaro la creatività non è leggerezza distratta davanti al susseguirsi di eventi tragici, è la volontà interiore di sentirsi sconfitti ma non vinti guardando al di là del presente, la capacità di saper mettere in scena l’arte della vita anche nei momenti più oscuri delle nostre esistenze. E se la pandemia è la guerra del presente allora tutto torna. Perché ogni guerra richiede l’agire propositivo delle idee e della poetica del loro manifestarsi per mettere in atto la Resistenza dello spirito e del pensiero libero contro mostri visibili ed invisibili e la propaganda del panico mediale con la conseguente scia di paure, incertezze, di troppe domande legittime e poche risposte convincenti.
Il pericolo è l’indebolimento del nostro sistema immunitario sociale costruito attraverso la rete di scambio e confronto con l’altro negli spazi delle nostre città deputati al diffondersi di idee, visioni eterogenee e formazione di senso critico: teatri, cinema, musei e sale da concerto. La pandemia è la guerra che silenzia la musica, le voci, il verso recitato, annulla l’immagine sul grande schermo, azzittisce l’applauso, lascia gli artisti soli con la propria arte, atrofizza lo spirito. Riaprire in tempi brevi i luoghi dell’arte nelle sue multiformi espressioni è necessario, mettere in campo strumenti, condizioni, risorse e sussidi adeguati per i lavoratori del settore affinché si ritorni a respirare cultura in sicurezza è possibile. Il tal senso le istituzioni devono fare di più, non limitandosi allo slogan “ripresa e resilienza”. Tutto ciò richiede l’agire propositivo delle idee, di una visione nuova e unitaria in primis in seno al mondo degli artisti chiamati ad essere anello di congiunzione fra arte e popolo nel momento di smarrimento e abulia del pensiero come quello che stiamo vivendo.
Come durante la grande guerra bisogna immaginare un nuovo movimento d’avanguardia che possa conciliare spazi virtuali con spazi reali, lo streaming con i concerti dal vivo, poesie lette al telefono con spettacoli in teatro, nelle strade o in qualsiasi altro posto all’aperto, meno pubblico sotto il palco o seduto in platea e una fruizione diversificata, intelligente, mirata, in sintonia con necessità, paure e modi di percepire la realtà di un pubblico ormai irreversibilmente cambiato. È una direzione non priva di dubbi e perplessità ma l’unica possibile per farsi trovare pronti al rinnovamento che ci attende. E se questa pandemia è una guerra allora tutto torna, anche l’arte della vita dopo il dolore e il silenzio.