Accompagnati dall’autore veronese, un viaggio nel cuore oscuro di un’Italia di qualche decennio fa, in un contesto che ritorna a inquietarci
L’autore del romanzo ci spiega le origini del concept: “La foto in bianco e nero mostra una signora sulla sedia a rotelle, è paraplegica e felice, ha un sorriso di contentezza, alla sua destra una donna ha il camice sbottonato e una mano in tasca, la scenografia è quella di un ambulatorio medico. Ho conosciuto Chloe Jennings, americana dello Utah, nel 1982, a tredici anni, nella foto lei ne aveva cinquantatré, è quella felicità fuori posto a farmi trovare il coraggio e la voglia di leggere l’articolo del periodico spalancato sul tavolo della cucina. A quattro anni Chloe vede la zia ingessata, si è appena rotta il femore, da quel momento cambia tutto, inizia una specie di conflitto con le gambe, le sente inutili, un’appendice senza senso, vuole privarsene, le pensa tutte per metterle fuori uso, crescendo non cambia idea, gli arti inferiori rimangono inutili reliquie, dopo anni di sofferenze, di visite psichiatriche che la certificano sana di mente, paga un chirurgo disposto a reciderle il midollo spinale per non fargliele più sentire. Con le gambe soffriva troppo. Sotto la foto, una frase presa dall’intervista: le mie gambe non sono fatte per muoversi e lavorare”.
Senza
Paolo è un ragazzino spaventato, non comprende il mondo e la sua violenza, vuole rimanerne fuori. Un fatto di cronaca gli lascia un’indelebile impressione: Chloe Jennings, americana dello Utah, affetta da B.I.I.D. (Body Integrity Identity Disorder), sempre più insofferente di avere e sentire le gambe, si è fatta recidere il midollo spinale. Chloe ora è felice. Paolo cresce, il suo temperamento ossessivo lo tiene avvinghiato al caso Jennings, ne dà un’interpretazione coerente alla sua vocazione di perdente ed escluso: senza gambe, la sua rinuncia diventerebbe definitiva, da fermo eviterebbe il contagio del mondo, l’idea di farsi amputare cresce molesta. Senza è la storia di un rifiuto, Senza è il Rifiuto della Storia rivendicato da un corpo. Paolo, l’in-adattato, il perdente che rinuncia alla competizione, rigetta l’inferno della sopravvivenza, del pensiero collettivo, delle regole tramandate e delle coscienze mute per mettersi in ascolto delle proprie gambe che lo sfiancano di implorazioni: tagliaci! è l’imperativo urlato da una fisiologia pensante. Se il raziocinio non trova logiche di adattamento, è il corpo che si incarica di una risposta autonoma.