Tempestività di intervento e costante ricerca scientifica, parla il Direttore Generale Marta Branca
di Damiano Rulli e Davide Iannuzzi
La psicosi ora è drammatica constatazione. Sette vittime e oltre 200 casi di contagio sparsi come focolai pronti a divampare, poi, la percezione del pericolo che rischia di sfociare in isterismo collettivo. Tornano in mente i giorni recenti, quelli di una speranza foraggiata dai successi di laboratorio, quando dall’ospedale romano Lazzaro Spallanzani si diramava l’annuncio dell’isolamento del virus che segnava il passo di un’avanzata trionfale, ora in stato di stand by. E’ importante ripartire dalle certezze acquisite per non perdere la testa. Mediafrequenza ha avuto l’onore e il piacere di incontrare il Direttore Generale dello Spallanzani Marta Branca, per ripercorrere le tappe di un cammino lungo il quale agli scenari più tetri dei contagi sfociati in decessi si sono alternate luminose schiarite di test inizialmente positivi e negativizzati post degenza. Ripartiamo da qui, dalla coppia cinese come dal caso del ricercatore italiano dimesso nei giorni scorsi. Per conservare l’ottimismo e attutire le gli effetti della pressione mediatica.
Improvvisamente un ospedale romano si ritrova al centro dell’attenzione mediatica a livello mondiale. Cosa ha comportato per Lei dover gestire non solo le attività ospedaliere in un momento critico ma anche un flusso di informazioni ad alto regime?
L’interesse mediatico, quando è motivato da fattori positivi come in questo caso, non può che farci piacere, perché ci permette di mettere in mostra il livello di eccellenza raggiunto dalla nostra struttura nella diagnosi e cura delle malattie infettive. Quello che teniamo a sottolineare è che l’impegno che i nostri specialisti stanno profondendo in queste settimane per l’epidemia di coronavirus è esattamente lo stesso che mettono tutti i giorni nell’attività ordinaria, nella diagnosi e cura di malattie che non fanno notizia ma che purtroppo continuano a colpire ed uccidere anche nel nostro paese, come la tubercolosi, l’epatite o l’AIDS, e delle quali forse dovremmo parlare di più.
Naturalmente l’enorme attenzione dei media ci ha creato qualche piccolo problema, le nostre strutture di comunicazione sono state messe sotto pressione perché oggettivamente non potevamo immaginarci un simile “assalto”, ma devo sottolineare anche che da parte degli operatori dei media c’è sempre stato grande spirito di collaborazione, e anche la Regione ci ha dato una grossa mano affiancandoci nei momenti più convulsi.
La mission dello Spallanzani votata a diagnosi e prevenzione di malattie infettive ha nel corso degli anni superato esami importanti e difficili come la lotta alla poliomelite, al colera, alla salmonellosi, all’epatite B e alle malattie infettive da HIV e AIDS. Quale posto assegnerebbe al Coronavirus in ordine di emergenza e difficoltà di intervento?
L’emergenza non è ancora finita, abbiamo ancora delle persone ricoverate presso la nostra struttura, altre in quarantena, e naturalmente non possiamo escludere che si presentino altri casi di positività nelle prossime settimane. I nostri specialisti sono “allenati” alle emergenze, molti di loro hanno esperienze sul campo in Africa nella lotta a malattie come malaria, Ebola, Dengue, Chikungunya, esperienze che sono fondamentali quando malattie infettive che arrivano da posti lontanissimi bussano alle porte di casa nostra, come sta avvenendo adesso, e come avvenne con Ebola nel 2014: anche allora riuscimmo ad isolare il virus in tempi rapidissimi, e riuscimmo a curare con successo i due operatori italiani che si erano infettati con questo virus, che ha tassi di letalità di gran lunga superiori a quello del coronavirus dell’attuale epidemia.
Il direttore generale dell’OMS Tedros Adhanom Ghebreyesus ha dichiarato che il numero delle persone contagiate dal coronavirus che non hanno viaggiato in Cina nell’ultimo periodo è in aumento, dobbiamo preoccuparci? Quale diffusione può raggiungere il coronavirus e qual’è l’indice di mortalità?
Il nostro Paese si è mosso con tempestività in questa emergenza, con l’istituzione di una task force presso il Ministero della Salute già il 22 gennaio, con l’emanazione dello stato di emergenza da parte del Governo il 31 gennaio, con le misure prese riguardo ai voli da e per la Cina. L’obiettivo è quello di evitare i casi secondari, ovvero l’innesco di catene di trasmissione dell’epidemia al di fuori dal suo epicentro cinese. Al momento il 99% dei casi riguarda appunto la Cina, l’80% la provincia dello Hubei da dove si è originata l’epidemia e che ha fatto registrare anche il 95% dei decessi. Per quanto riguarda la diffusione dell’epidemia, è presto per poter fare delle previsioni a proposito della letalità di questo virus, l’Agenzia Cinese per il controllo e la prevenzione delle malattie ha appena pubblicato un ampio studio su tutti i casi di positività registrati in Cina sino all’11 febbraio, dal quale risulta un tasso di letalità complessivo del 2,3%, ma che scende allo 0,9% tra le persone che al momento dell’infezione non presentavano altre patologie come malattie cardiovascolari, diabete, malattie respiratorie croniche, cancro.
Siete stati i secondi al mondo, dopo i ricercatori cinesi ad isolare il coronavirus, cosa significa e quali implicazioni ha l’importante risultato raggiunto?
Non so se siamo stati i primi, i secondi o altro: siamo riusciti ad isolare il virus 48 ore dopo aver avuto i campioni dei primi pazienti positivi al virus in Italia. Ma non ci sentiamo affatto in gara con altre nazioni e con altri laboratori: il giorno stesso dell’annuncio dell’isolamento abbiamo anche annunciato che il virus sarebbe stato immediatamente messo a disposizione della comunità scientifica internazionale, che mai come in questa circostanza si sta muovendo in maniera coordinata e aperta, condividendo le proprie ricerche con un obiettivo comune. La salute è un bene globale, non dimentichiamolo, e noi che siamo operatori del Servizio Sanitario Nazionale possiamo proteggere il benessere dei nostri concittadini solo se siamo inseriti nel circuito internazionale della ricerca: d’altra parte virus e batteri non hanno certo bisogno di passaporti per viaggiare da un paese all’altro.
Comprende che siamo tutti un pò preoccupati sopratutto per i nostri figli, nipoti quali rassicurazioni può darci? In che modo possiamo limitare il rischio contagio e diffusione del coronavirus?
Per quanto riguarda le raccomandazioni che si possono dare, sono quelle valide per qualunque altra patologia del tratto respiratorio: evitare uno stretto contatto con le persone che hanno febbre, tossiscono o hanno altri sintomi respiratori, evitare di toccarsi gli occhi, il naso o la bocca dopo aver avuto contatti con persone malate, lavarsi frequentemente le mani con sapone o con una soluzione alcolica. Quando si hanno sintomi respiratori è necessario praticare la “etichetta della tosse” mantenendo la distanza con le altre persone, coprendo la tosse e gli starnuti con tessuti o indumenti usa e getta, lavandosi frequentemente le mani. Semplici accorgimenti di igiene validi sempre, non soltanto per il coronavirus.