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di Damiano Rulli
Era l’estate del 1990, avevo 12 anni e quel mondiale lo ricordo benissimo per tanti motivi che ancora scaldano il cuore. C’era tanta trepidazione, ansia, voglia di vincere e delle notti magiche cantate da Gianna Nannini. Roma era in fermento e con lei tutta l’Italia.
Ricordo le innumerevoli volte che andavo di proposito a Piazza Venezia dove era esposta la Coppa del Mondo che guardavo ammirato mentre la immaginavo, tra le mani vittoriose dei giocatori della nazionale, alzarsi verso il cielo!
L’album di figurine del mondiale con un giocatore russo di nome Demjanenko mi faceva sentire ancora più coinvolto come se fossi parte integrante di tutto l’universo calcistico. Ci pensavano i miei amici a farmi ritornare con i piedi per terra prendendomi in giro per l’assonanza del mio nome con quello di questo giocatore sovietico.
La prima bandiera dell’Italia portata da mio padre che tanto ci ha fatto festeggiare, tanto da disturbare i vicini di casa. La mascotte Ciao e gli innumerevoli portachiavi che avevamo in giro per casa, per non parlare poi della mitica Fiat Panda Italia 90.
Le telecronache di Pizzul con quella sua voce inconfondibile e poi, e poi i suoi gol ai quali urlavamo di gioia e pazzia! Eravamo io, mio padre e mio fratello davanti alla TV. Noi seduti sul pavimento e mio padre sdraiato sul letto che si alzava urlando “a zozzoni” ad ogni gol di Totò.
Totò un giocatore a me sconosciuto rispetto ai più blasonati Zenga, Maldini, Baresi, er Principe Peppe Giannini, ma che mi ha fatto sognare, vivere, emozionare, gioire come mai prima di allora.
Ricordo la delusione della semifinale persa, le lacrime solcare il mio viso al pensiero di un grandissimo sogno irrimediabilmente infranto.
Grazie Totò per avermi fatto vivere tutto questo.
