In programmazione il 20 novembre alla Sala Zavattini Il film di Andrea Paco Mariani sulla comunità indiana a Latina
Sarà proiettato il 20 novembre alle ore 18,00 presso la Sala Zavattini della Fondazione Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico il film “The Harvest” di Andrea Paco Mariani, un docu-musical che, per la prima volta, unisce il linguaggio del documentario alle coreografie delle danze punjabi, raccontando l’umiliazione dei lavoratori sfruttati dai datori di lavoro e dai caporali. Si tratta di due storie che si intrecciano nel corso di una giornata, dalle prime ore di luce in cui inizia il lavoro in campagna, alla preghiera serale presso il tempio della comunità.
Gurwinder viene dal Punjab, da anni lavora come bracciante delle serre dell’Agro Pontino. Da quando è arrivato in Italia, vive insieme al resto della comunità sikh in provincia di Latina. Anche Hardeep è indiana, ma parla con accento romano, e si impegna come mediatrice culturale. Lei, nata e cresciuta in Italia, cerca il riscatto dai ricordi di una famiglia emigrata in un’altra epoca, lui è costretto, contro le norme del suo stesso credo, ad assumere metanfetamine e sostanze dopanti per reggere i pesanti ritmi di lavoro e mandare i soldi in India.
Un duro lavoro di semina, fatto giorno dopo giorno, il cui meritato raccolto, tra permessi di soggiorno da rinnovare e buste paga fasulle, sembra essere ancora lontano.
IL CONTESTO
Il mercato agroalimentare in Italia vale 246 miliardi di euro, pari al 15,9% del Pil nazionale. Nel settore lavorano circa 450 mila persone, di cui la maggior parte migranti che lavorano in condizioni di sfruttamento. Ad oggi si stima che oltre 100 mila lavoratori e lavoratrici vivono in condizioni para schiavistiche a causa del fenomeno del caporalato. Secondo l’ultimo rapporto “Agromafie” di Eurispes e Coldiretti il volume d’affari complessivo annuale dell’agromafia sarebbe salito nel 2016 a 21,8 miliardi di euro con un balzo del 30% nell’ultimo anno.
La comunità indiana che vive nell’area dell’Agro Pontino è composta da circa 30 mila persone che costituiscono la manodopera nelle campagne. La maggior parte di questi lavoratori sono indiani di religione Sikh e originari del Punjab, regione nord occidentale dell’India. Sono impiegati nei campi anche 14 ore al giorno, tutti i giorni del mese, tranne a volte la domenica pomeriggio. Secondo al contratto provinciale del lavoro, dovrebbero guadagnare circa nove euro lorde l’ora per sei ore e mezza ore al giorno. Ma nella quotidianità la realtà dei fatti è ben diversa. Questa una delle testimonianze ricorrenti: “Lavoro in una cooperativa agricola vicino
Sabaudia, il lavoro è troppo duro e i soldi sono pochi. Prendo solo 400 euro al mese e ogni sera prego perché il caporale mi chiami per il giorno dopo”.
La storia denunciata in “The Harvest” che racconta la comunità sikh vittima di caporalato, è rappresentativa di un fenomeno che vede a capo aziende italiane e la grande distribuzione (Gdo) e cha va oltre lo sfruttamento sul luogo di lavoro. Come testimoniato in numerose occasioni, i braccianti sono spesso vittime di atti intimidatori e spedizioni punitive da parte dei loro datori di lavoro ogni qual volta provano a chiedere quanto spetterebbe loro per contratto. Ad alcuni hanno tentato di dare fuoco o sono stati aggrediti e picchiati perché reclamavano stipendi arretrati. Si capisce dunque come in questo sistema trovino posto anche esponenti di vari clan mafiosi, in particolare dei casalesi, ‘ndrangheta e mafia siciliana. Nel comune di Fondi, nel Sud Pontino, si trova uno dei mercati ortofrutticoli più grandi d’Europa, già oggetto di numerose indagini, processi e interventi delle forze dell’ordine per la presenza radicata di diverse mafie.
Con il dossier “Doparsi per lavorare come schiavi” pubblicato nel 2014, la coop. In Migrazione ha denunciato che alcuni braccianti indiani vengono perfino indotti ad assumere sostanze dopanti come oppio, metanfetamine e antipastici per poter migliorare le prestazioni di lavoro in serra nonostante le numerose ore di lavoro. Così uno dei braccianti: “Molti indiani hanno
dolori molto forti alla schiena, alle mani, al collo, agli occhi perché sul viso hai sempre terra, sudore e anche prodotti chimici e veleni. Ogni mattina la schiena sembra spezzarsi. Ma dobbiamo lavorare per forza. Se chiedo un giorno di riposo il padrone mi sostituisce con un altro bracciante indiano. Sono sette anni che faccio questa vita. Alcuni indiani che lavorano con me prendono una piccola sostanza per non sentire dolore. La prendono una o due volte al giorno così smettono di sentire i dolori e continuano a lavorare senza rallentare. Lo prendono per non sentire la fatica ed essere richiamati dal caporale il giorno dopo a lavorare”.
Nell’autunno del 2016 in Italia è stata approvata una legge contro il fenomeno del caporalato (l.199/2016), ma nonostante l’intervento normativo ad oggi non si è ancora riscontrato un concreto cambiamento.
Infatti, nonostante gli importanti arresti di caporali indiani e datori di lavoro italiani, migliaia di lavoratori e lavoratrici continuano ad essere vittime del caporalato e dello sfruttamento che si consuma tra le pieghe delle norme. Buste paga e contratti di lavoro in regola per braccianti impiegati, apparentemente regolari, dove però il lavoratore risulta impiegato per sole quattro giornate al mese a fronte delle trenta in realtà lavorate. Il resto delle ore di lavoro sono sommerse, segnate a matita su pezzi di carta, con costi orari lontani da quelli previsti dal contratto nazionale.
Ufficio stampa AAMOD: Elisabetta Castiglioni e-mail: info@elisabettacastiglioni.it