La scrittrice romana che ha da poco debuttato nel mondo letterario con “Come un cappotto in piena estate” per Youcanprint anticipa la prossima pubblicazione del sequel, ancora tra analisi del dolore e scavo psicologico nei personaggi da lei creati
di Davide Iannuzzi
Per ogni forma di tormento dev’esserci una via d’uscita che conduce alla riabilitazione emotiva del sé. In sintesi sembra essere questo il messaggio racchiuso nel romanzo di debutto di Vanessa Di Paolo, insegnante di Lettere e narratrice di prigioni psicologiche, inibitrici del confronto sociale quanto degli imprescindibili percorsi terapeutici. La lotta contro il pregiudizio e il rifiuto delle affrancature più moleste e ingenerose, che spingono l’individuo verso l’isolamento e l’autocensura pesano nel racconto come premessa di un messaggio inequivocabile di guarigione, che il protagonista stesso riesce a sprigionare fin dalla sua più compromessa condizione emotiva, quando egli ristagna nel pantano della sua confort zone. Uno stile narrativo, quello dell’autrice basato sulla percezione delle parole e sulla massima estensione dei loro significati. Un effetto rallenty dell’azione narrativa che tende a palesare il permanere di interiori apnee in assenza della cui comprensione risulterebbe impossibile, o quanto meno sterile e poco veritiera ogni risalita verso l’esterno accompagnata dall’illusione di una conquista. In questo senso la penna di Vanessa Di paolo assume nell’ambito del racconto la funzione di un bisturi, che apre chirurgicamente l’animo dei personaggi per rifletterne uno spaccato di umanità che grida forte contro ogni forma di indifferenza. Assieme all’autrice nell’intervista anche la gradita presenza della sua inseparabile disegnatrice e autrice della cover del libro, Tamara Minchella.
“Come un cappotto in piena estate” è il tuo romanzo d’esordio, come è maturato questo progetto?
L’artefice di questo progetto è: il coraggio. La passione pura, veemente per la scrittura ha sempre scandito la mia vita interiore. Questo romanzo, ” Come un cappotto in piena estate”, ha sopraffatto le mie paure, inducendomi ad espormi al giudizio e al confronto. Realmente non è il mio primo lavoro ma è il primo che è diventato un progetto.
Esiste un momento in cui gli interessi letterari convergono verso l’esigenza di doversi mettere in gioco con la penna; quale ritieni essere l’elemento caratterizzante del tuo stile?
Le parole rappresentano per me un universo espressivo, una possibilità; il mio stile prende propriamente forma da una peculiare scelta e ricerca delle stesse. Trae nutrimento da tutte quelle parole che irrompendo nel racconto, ne scardinano l’emozione, creando stupore e incalzante aspettativa.
In questo universo espressivo io vorrei che i miei personaggi siano in grado di restituire, a chi li impara a conoscere, una “familiarità emozionale”. Fra le mie pagine, nelle mie parole, qualcuno potrebbe ritrovarci la sua infanzia; altri i propri corsi e i propri percorsi di vita; alcuni il tempo “rispondente” per liberare le lacrime trattenute.
Parliamo di Gionatan il protagonista e della dimensione del suo dolore intesa come confort zone. Qual é il malessere comune che egli rappresenta attraverso il suo percorso narrativo?
Il protagonista è bloccato nel suo passato, nonostante nello sguardo altrui, sembri in un brillante divenire. Il suo pantano emotivo si chiama: senso di colpa, rimorso, “sopravvivenza” in tutte le sue accezioni. Apparentemente Gionatan sembra nuotare in mare aperto, ma la sua mente e il suo cuore affondano nel fango.
Gionatan imparerà che c’è una morale nel dolore. Le funi di un passato doloroso possono impigliarci, avvolgerci, immobilizzarci in un tempo preciso della vita, in un posto preciso, in una condizione precisa del nostro cuore: precisa ma non giusta. Ma a volte a slegarci dall’inganno e dalla trappola dei ricordi sono proprio quelle persone a cui concediamo e continuiamo a concedere la nostra fiducia. Sono loro che ci permettono di evadere dalle nostre prigioni mentali. Ti giri e ti accorgi che ormai quei muri sono alle tue spalle. Sei evaso, sei fuori dalla tua prigione.
In una società sempre più rappresentata da micro mondi isolati e scarse interazioni con l’esterno il romanzo sembra voler indicare la via di fuga dalla repressione indotta dei sentimenti e delle emozioni….
“Indossò il suo cappotto nero e uscirono lui e il suo coraggio”. Credo che questa frase sia una delle chiavi di lettura del romanzo e soprattutto il modo migliore per risponderti. “Come un cappotto in piena estate” è anche una storia d’amicizia, d’amore, di guarigione, di generosità e di riscatto, di sangue e di legami di sangue da cui saprà nascere il ristoro del perdono. In un climax fatto di serrati dialoghi e di raccapriccianti verità, Gionatan lotterà per difendere dall’assalto del passato la sua ritrovata umanità, scoprendosi un uomo nuovo e finalmente davvero libero. Il vertice delle emozioni, il disvelamento della verità e lo sforzo corrisposto di voler uscire vivi dalle macerie di un’ asfissiante scoperta, uniranno questi microcosmi nella loro tragica umanità.
Con gli occhi della scrittrice quanto pesa il pregiudizio altrui nell’incapacità di un individuo di fuggire dalla propria prigione?
Spesso collocare le persone, inscatolarle in una categoria, farne un fermo immagine è una subdola e sporca forma di violenza. Induce le persone a non evolvere, a pensare di non avere il diritto di essere amate. Ed è anche, paradossalmente, una forma di pregiudizio verso se stessi, come se non fossimo in grado di ascoltare gli altri oltre la superficie, ma il nostro coraggio potrebbe sorprenderci. D’altra parte è necessario essere autentici con se stessi per poter interagire autenticamente con gli altri. E io credo che molti, come il protagonista del mio romanzo, si sentano “come un cappotto in piena estate”. Vivano, loro malgrado, un senso di inadeguatezza rispetto ai tempi della vita e questo, inevitabilmente, complica le relazioni interpersonali.
Quanto invece pesano nel tuo romanzo il rapporto con il proprio vissuto è l’analisi di mondi esterni?
I mondi esterni, nel mio romanzo, hanno la funzione di mettere a confronto varie forme di dolore, al punto da creare un bilanciamento fra il dolore personale e il dolore collettivo. Ognuno ha la sua dose pesante, satura, segreta, pregna: ha un proprio dolore. Ma soprattutto, inesorabilmente, è dal relazionarsi di questi mondi propri apparentemente esterni, avulsi, lontani che Gionatan potrà dare senso e spazio alla sua personale storia di dolore.
Ognuno di noi nasconde in se un libro che meriterebbe di essere scritto. Ma quando questo accade non sempre avviene l’incontro con la casa editrice. Come sei approdata a Youcanprint?
Il mio primo obiettivo era propriamente quello di trovare una casa editrice che corrispondesse a determinati criteri. A causa del mio lavoro, ho avuto l’opportunità di conoscere questa casa editrice. Prima di pubblicare il mio romanzo, infatti, ho collaborato nella scrittura di un libro, che in seguito è stato pubblicato proprio con Youcanprint. Memore dell’esperienza di questa collega, ho scelto di pubblicare con loro. E’ stato un connubio perfetto!
Molto bella la cover del romanzo per lo stile figurativo scelto; come è nata e in seguito condivisa l’immagine dell’uomo che lancia il suo cappotto verso il mare?
Un uomo bellissimo, elegante, in piedi sulla spiaggia che lancia, dietro di se’, con un gesto quasi liberatorio, un cappotto sdrucito, liso, con dei bottoni quasi staccati. Il sole è accecante. L’uomo è girato lateralmente in modo tale da rendere evidente una cicatrice sulla tempia destra (l’unico segno visibile del suo passato).
Io volevo che la copertina comunicasse esattamente questa immagine mentale. Ma avevo bisogno di qualcuno che fosse in grado di realizzare questo pensiero.
La mia talentuosa amica, Tamara Minchella, ha saputo dare forma ai miei sentimenti, a quelli dei miei personaggi. La sua sensibilià creativa e umana, la sua eleganza espressiva si sono intersecate perfettamente con la forza e con la bellezza che abitano nelle parole. Comunque con molta gratitudine vorrei che fosse proprio lei a raccontarvi come è nato questo processo creativo…
Innanzitutto ringrazio Vanessa per la fiducia e stima nei miei confronti. Siamo amiche ma in questo progetto ci siamo scoperte affini nei sentimenti.
E il libro parla proprio di sentimenti, quelli che proviamo tutti e che cerchiamo di capire, nascondere o quelli che si vogliono tirare fuori senza capire come fare e che spesso non hanno voce.
Vanessa scrive con il cuore.. il suo libro parla di un un uomo ma la verità è che parla di ognuno di noi perché i sentimenti sono qualcosa che ci riguarda tutti.
Da questo incontro è nata la copertina ..nel momento in cui mi ha descritto il concetto ho subito avuto l’immagine mentale di come dovesse essere per trasmettere la rinascita e la liberazione del protagonista. L’abbiamo immaginata così con linee sottili e colori leggeri ed eterei ..nell’ampio mare di emozioni da elaborare ci si libera di un passato che è stato un fardello e ha fatto sentire fuori posto “come un cappotto in piena estate” per tanto tempo.
Forse in cantiere c’è già una seconda opera; puoi rivelare qualche anticipazione?
La seconda opera è già stata scritta. E’ il sequel di “Un cappotto in piena estate” e ci condurrà alla genesi delle emozioni. Cosa muove le scelte, quelle sbagliate, quelle non fatte, quelle fatali? Cosa c’è dietro le quinte di un cuore? Ma soprattutto cosa c’è dietro le quinte di questi cuori? Di questi cuori, di queste esistenze, di questi uomini e di queste donne che avete imparato ad amare o imparerete, spero, ad amare.
Per quanto riguarda la cover del prossimo romanzo, vorrei che a parlarvene fosse Tamara.
Nella copertina anche per la seconda opera le emozioni prendono vita in un’immagine che ne trasmette l’essenza. L’emotività si rende visibile a chi guarda attraverso forme e colori e speriamo con la copertina di riuscire a trasmettere quello che abbiamo provato e che ci ha portato a realizzarla.