A seguito dell’uscita del suo ultimo romanzo intitolato “Le negazioni” Mediafrequenza ha incontrato Marco Gottardi per parlare della genesi del progetto e future programmazioni
Valter, docente di letterature comparate all’università Sorbonne Nouvelle-Paris 3, torna a casa per la morte del padre. Manca da sedici anni, da quando ha lasciato la vecchia casa ai piedi delle colline trevigiane, dopo aver litigato con l’unico genitore rimastogli ed essersene andato sbattendo la porta, senza più mantenere alcun contatto con suo padre. Torna soltanto per il funerale e per vendere la casa, ma questo suo ritorno lo costringe a fare i conti con il passato, con quello sconosciuto degli ultimi sedici anni e con quello che lo ha preceduto, un passato fatto di silenzi e affetti perduti, di reticenze e misteri.
Le negazioni sono un libro sull’abbandono e sulla possibilità di porvi rimedio, è la storia di un quarantenne che lentamente si riappropria di un tempo smarrito, sospeso, i cui fili invisibili, per quanto sottili, possono ancora intrecciare presente e futuro, nonostante il tempo abbia cambiato molte cose, compreso lo stesso Valter. Ma nulla, se non la morte, è irrevocabile. Le negazioni, allora, raccontano anche questo: la redenzione di un uomo che a poco a poco riconosce le proprie colpe e se ne libera, ritrovando vecchi affetti e scoprendo nuovi legami, imparando in fondo a riconoscere se stesso.
La negazione, inoltre, si pone quale risorsa stilistica egemone e cifra distintiva del romanzo tutto, tracciando questo itinerario di redenzione come una sorta di correlativo oggettivo dello stato d’animo del protagonista, fino al ribaltamento di segno finale, in cui la negazione cede il passo alle tre affermazioni che concludono il libro.
Scritto interamente in prima persona al presente, il romanzo abbatte le distanze tra scrittore e lettore, consentendo a quest’ultimo (attraverso una prosa vivida e risoluta nella quale sono evidenti i modelli di Faulkner e Onetti) di identificarsi in Valter, nella sua storia, nel valore di un ritorno a casa che è in ultima istanza la costruzione di un perdono.
In occasione dell’uscita del nuovo romanzo, lo abbiamo intervistato per voi.
Come è nata la tua voglia di scrivere?
Non saprei, non è stata una scelta, è semplicemente successo. A otto anni la maestra delle elementari mi aveva soprannominato “lo Scrittore”, già scrivevo pagine e pagine nei quaderni e d’estate giocavo a fare lo scrittore con la vecchia Olivetti di mio padre. Ho sempre subito il fascino della parola, ho sempre letto molto e già prima dei diciotto anni avevo un bel po’ di poesie pronte da pubblicare. Poi con l’università (Lettere a Venezia, ma solo dopo aver fatto per cinque anni il geometra e aver mollato tutto per seguire il mio amore per la letteratura) ho affinato gli strumenti, per così dire, mi sono messo alla prova collaborando con riviste culturali, fino ad approdare alla narrativa. Adesso scrivo solo romanzi, ma è stato ed è un percorso, più che una decisione. Una vocazione, si potrebbe dire, o una maledizione…
Che ingredienti servono per costruire una storia?
Non credo ci sia una ricetta precisa, ed è questo il bello. Ogni volta è un’avventura diversa, non sai mai cosa aggiungerai e cosa toglierai. Gli ingredienti a disposizione sono moltissimi, ma è pur vero che a volte con un solo ingrediente, se è eccellente, si fa un gran piatto.
Quando finisci di scrivere un libro chi lo legge per primo?
Il primo a leggerlo è un amico scrittore, Andrea Dei Castaldi, una delle voci più interessanti e profonde della narrativa contemporanea. È un po’ un esame, diciamo così, perché è uno che sa scrivere e se c’è un difetto nel mio lavoro stai sicuro che lo vede e me lo ‘rinfaccia’. Ma è giusto così, si può e si deve sempre migliorare. Molte volte i complimenti sono inutili. Poi però lo faccio leggere anche a semplici lettori, non gente esperta, ecco, per vedere l’effetto che fa sui ‘comuni mortali’.
Ci parli del tuo romanzo dal titolo “Le negazioni”. Qual è l’idea che ti ha portato a scrivere questa storia?
La genesi di questo lavoro è molto diversa rispetto ai due romanzi precedenti. Qui, prima della storia, prima di tutto, c’è un’idea di teoria letteraria nuova, basata sul concetto di negazione, che mi ero convinto di mettere alla prova nella forma di un romanzo. Si trattava di raccontare i fatti non come accadevano ma come non accadevano, di descrivere i personaggi non per le caratteristiche che avevano ma per le qualità che non possedevano, ovvero di fare un’operazione simile a quella dello scultore, che toglie per far sì che resti l’opera. La storia è venuta dopo, ed era un’idea che mi girava per la testa da un po’: continuavo a immaginare una porta che sbatte, un litigio, un addio perentorio, secco, insomma la fine di un rapporto. E quella fine è diventato l’inizio del romanzo…
Cosa vuoi trasmettere ai lettori con il tuo nuovo romanzo?
Prima di tutto vorrei che il lettore provasse piacere per lo stile con cui è scritto il romanzo, per me la seduzione del lettore tramite la sensualità e la profondità delle parole è la cosa più importante, più ancora della storia. La storia è un pretesto per fare l’amore con il lettore. Non voglio insegnare nulla, sono un parnassiano e credo nel concetto dell’art pour l’art, nell’assoluta inutilità dell’arte (e la scrittura è l’arte più difficile di tutte) che ne decreta la necessità, credo in una narrativa svincolata da ogni istanza etica, educativa, credo nel piacere della letteratura intesa come sublimazione della parola, come ricerca di un’estetica libera e appagante. Certo, poi, a differenza dei due romanzi precedenti, questo è anche una bellissima storia con un piccolo mistero che la innerva e un bel finale a sorpresa…
Stai lavorando a dei nuovi progetti in questo momento?
Ho in mente altri tre romanzi. Peccato non poterli scrivere tutti assieme! Un paio attendono in fase embrionale, sono libri moderni con personaggi disincantati e scanzonati, scritti con uno stile agile, fresco, contemporaneo ma con quel velo poetico che è la mia cifra distintiva anche adesso che ho smesso di fare il poeta. Sto lavorando su quello più promettente, a mio avviso, incentrato sul tema del tempo, della memoria, delle radici. E su questo sto facendo un lavoro stilistico diverso, più profondo, con un respiro più ampio e solenne, più tradizionale per certi versi, ma anche decisamente più maturo ed equilibrato. Deve essere il romanzo della mia consacrazione.