Dal mainstream alla nuova elite, gli epigoni delle super band dei settanta
di Fabrizio Ragonese
Gli anni ’80 sono una di quelle cose che non lasciano nessuno indifferente. O li ami o li detesti. Gli anni del disimpegno sociale, del riflusso, della tv commerciale, degli yuppies, dei paninari e chi più ne ha più ne metta. O forse, più semplicemente, un decennio simbolo di un punto di non ritorno nella società. Molte cose, infatti, non sarebbero state più le stesse, nel bene e nel male.
Ad esempio la musica.
La differenza rispetto al decennio precedente è impressionante: niente più interminabili suite, niente psichedelie, niente canzoni impegnate o cerebrali con arrangiamenti stratificati e sontuosi, niente virtuosismi strumentali. Tutta roba che cede il passo, volente o nolente, ad arrangiamenti essenziali con melodie semplici, dirette e accattivanti, in cui l’elettronica entra in maniera prepotente e autoritaria, non più con lo scopo di coinvolgere mentalmente l’ascoltatore, ma semplicemente per intrattenere, da ballare o da canticchiare. Tutto qui. Musica come forma di svago e niente più. Alcuni considerano proprio questo il segreto del successo musicale di quel decennio, mentre altri vedono questo teorema come la pietra tombale della musica con la “m” maiuscola, la musica di qualità, e che vedono negli anni ’80 semplicemente il decennio delle canzonette da hit parade, il decennio in cui chiunque sapesse programmare una tastiera era potenzialmente in grado di sfornare un successo, anche gente senza il minimo talento. Questo è sicuramente vero in molti casi. Ma non in tutti.
Gli anni ’80, infatti hanno visto nascere formazioni che hanno palesato fin da subito la loro volontà di staccarsi dal mainstream di quegli anni, e di richiamarsi proprio allo stile che aveva caratterizzato il decennio precedente, in particolare il prog, adattandolo però alle sonorità contemporanee. Ecco perché venne coniato il termine “neoprog”: perché non si trattava di band che si limitavano a scimmiottare le vecchie band prog anni ’70, ma di un vero e proprio movimento musicale che fondeva il prog con la new wave, dando vita a qualcosa che nessuno aveva mai sentito prima. Soprattutto, si trattava di qualcosa di molto coraggioso in quegli anni, perché le case discografiche mettevano sempre più pressione agli artisti affinché sfornassero singoli orecchiabili che avessero le potenzialità per scalare le classifiche, mentre il neoprog era (ed è tuttora) un genere di nicchia, lontano dai circuiti commerciali. Saranno proprio questo tipo di pressioni a portare allo scioglimento o alla conversione alla new wave della stragrande maggioranza delle band prog. Per questo motivo sia i fan, delusi e amareggiati, che la critica spesso liquidarono gli artisti neoprog come banali e squallide scopiazzature, neanche tanto riuscite, dei mostri sacri del passato. Eppure si tratta di un giudizio come minimo ingeneroso, perché prese una per una e analizzate singolarmente senza paragoni ingombranti, queste band si rivelano essere tutte di primissimo piano, con musicisti formidabili e con pezzi che non hanno nulla da invidiare alle leggende del progressive, ancor più se inquadrate nel contesto musicale dell’epoca, un periodo in cui fare musica come quella era una scelta audace, perché voleva dire rinunciare alla popolarità. In questo articolo cercherò quindi di omaggiare le formazioni più rappresentative del genere neoprogressive, a partire dagli anni ‘80 e ’90 in poi.
La band che sicuramente merita di essere menzionata per prima sono i Marillion, i quali si sono distinti non solo per longevità e produzione artistica, ma per essere stati forse l’unica band neoprog in assoluto ad aver piazzato un singolo in classifica, la celeberrima Kayleigh, da allora entrata nell’immaginario collettivo. Nonostante l’abbandono del carismatico frontman Fish, e nonostante siano stati ingenerosamente etichettati come “i Genesis dei poveri” il complesso britannico è comunque riuscito a rimanere fedele alla sua natura nel corso del tempo, mantenendo una brillantezza e una creatività rare da trovare. Oltre alla già citata Kayleigh, da segnalare anche pezzi come Easter, White Russian, Blind Curve, Script for a Jester’s Tear, Sugar Mice, Beautiful, Slaint Mhath, Punch & Judy, Lords of the Backstage, solo per menzionarne alcuni. Molto interessanti anche gli IQ, altra formazione molto longeva e prolifica che, seppur con una breve parentesi più commerciale, è rimasta saldamente ancorata ai suoi punti fermi, un mix di sonorità “dure”, elettroniche e sinfoniche, dagli arrangiamenti molto complessi e articolati e dalla tecnica a tratti pazzesca. Uno degli album che inquadra meglio il loro stile è Ever, pubblicato nel 1993 e subito un grande successo per i cultori del genere, straconsigliato per chi volesse tentare un primo approccio. Anche l’album Subterranea del 1997 è decisamente rappresentativo del loro stile e merita un attento ascolto.
Altrettanto degni di nota sono gli Ozric Tentacles, formazione che si è distinta nel corso degli anni per le sue atmosfere a metà tra lo psichedelico e l’orientaleggiante, particolarmente apprezzabili in brani come Aramanu, Ashlandi Bol, Become the Other, Eternal Wheel, Kick 98, Velmwend, The Domes of G’Bal, solo per menzionarne alcuni. Convincenti anche gli Arena, supergruppo britannico formato da ex-componenti di altre band neoprog come i già citati IQ e Marillion (che rappresentano la loro maggiore influenza), oltre a Pendragon e Shadowland e che, nonostante i numerosi cambi di formazione, ha sempre mostrato una grande freschezza compositiva, evidente in brani come Pins and Needles, per citarne uno. Più marginali da questo punto di vista sono i celeberrimi Dream Theater, che nonostante abbiano sicuramente delle influenze neoprog, hanno sonorità troppo “dure” per essere citati come rappresentanti del genere. Dopo i primi due decenni, che rappresentano il periodo in cui riscuote maggiori consensi, il neoprog perde popolarità diventando, a partire dalla metà degli anni ’90, un fenomeno molto più di nicchia, per poi venire “riscoperto” negli anni 2010, con la nascita di nuove formazioni che sono ugualmente di tutto rispetto. Fra queste vale certamente la pena di menzionare i Tame Impala, band australiana tra le più recenti, che con brani come Let It Happen promette molto bene, mostrando un’originalità brillante, capace di osare con naturalezza e di colpire positivamente l’ascoltatore. Speriamo di trovare qualche altra sorpresa interessante come questa negli anni a venire.
Naturalmente i nomi da citare sono innumerevoli, e magari qualcuno storcerà il naso non vedendo questo o quel gruppo. Il punto è che sono tutti artisti validissimi, e ognuno di loro ha dimostrato che c’è sempre una strada diversa da prendere, che non esistono solo i successi da hit parade, che anche quando tutto il mondo va dall’altra parte si può sempre andare in direzione ostinata e contraria, per dirla alla Fabrizio De André, e che quando si parla di musica si può sempre uscire dagli schemi se si ha la giusta dose di coraggio, convinzione e consapevolezza dei propri mezzi. Il neoprog ha rappresentato, e tuttora rappresenta, un movimento artistico di tutto rispetto, che magari ha pagato un prezzo alto in termini di popolarità, ma che ha il merito di aver spaccato la coltre di ghiaccio della musica commerciale, oltre ad aver ridato linfa vitale a quel sogno chiamato progressive, rivisitandolo e dandogli una nuova dimensione. Scusate se è poco.