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I LOLA & THE WORKAHOLICS TORNANO CON “PUZZLE DI ME”

A tre anni di distanza dal debut album “Romance”, la coloratissima band dub Lola & Workaholics torna nei digital store con “Puzzle di me”, il suo secondo progetto full length dalle mille contaminazioni sonore

Il disco, composto da 8 tracce – registrate tra il 360 Studio Factory di Andrea Pachetti e lo Yeti’s cave Studio, con master firmato da Princevibe (Princevibe Studio) -, è il frutto degli ultimi due anni di una quotidianità sospesa tra il desiderio di esprimersi attraverso la propria musica e l’impossibilità di farlo, a causa delle conseguenze di una pandemia tanto inaspettata, quanto sconvolgente per il mondo intero.

«Non un concetto, ma un dato di fatto», come la stessa formazione dichiara; lo scrigno in cui i tratti di una routine frammentata si intrecciano alla riscoperta della propria essenza, del proprio Io interiore, in una profonda contemplazione della natura, come ben evidenziato in “Molecole”, brano che sottolinea le molteplici analogie tra il regno animale, minerale e umano, puntando il focus sul concetto chiave che, in fin dei conti, siamo tutti composti dalla stessa materia.

Vi è poi “Ganguette”, un riuscitissimo omaggio al genere di walzer da intrattenimento popolare reso celebre da Edith Piaf, scritto da Lola a Lille, per celebrare la cultura mista, ma anche l’aspetto semplice e solare, della capitale della regione Alta Francia, un invito ad evadere dal caos e dallo smog cittadino per seguire il proprio cuore, pulsante di libertà e speranza come un battito d’ali di farfalla, verso gli scorci più incontaminati dei sobborghi della metropoli, e della nostra anima.

Un concentrato di generi, stili e fusioni, a cui non mancano ricordi, memorie e contestazioni sociali, come nel caso di “Arafet”, tra le canzoni manifesto dell’album, dedicata ad un ragazzo tunisino che, a seguito del licenziamento dal luogo di lavoro, è diventato un ingranaggio della terribile macchina dello spaccio di stupefacenti, per poi finire ucciso alla stazione di Prato per mano delle Forze dell’Ordine e “Ian”, una suggestiva dedica al noto paroliere e frontman dei Joy Division Ian Curtis, che morì suicida a soli 23 anni, privando se stesso dell’infinita gioia di essere genitore e, la figlia, di un indissolubile legame d’amore e protezione.

Altra traccia dell’album è “Doccia a bollore”, brano-riscatto da se stessi, una vera e propria espiazione in musica, un bagno, un lavaggio di purificazione, che Lola racconta con queste parole: «E’ come una centrifuga che svuota la memoria, quell’atto liberatorio da dove tutti passiamo che ci consente di rigenerarci, di diventare come nuovi. Una doccia che ci libera dalle cellule morte, ma anche dai pensieri e dalle decisioni che, via via che strofiniamo il corpo, perdono d’importanza e finiscono nello scarico per essere gettate nell’oscuro oceano del futile, del non necessario».

Pezzo centrale è “Granito”, una traccia dall’aura emblematica e rappresentativa di tutto il concept: come si evince dal titolo, un encomio alla prima pietra della storia del mondo, l’iceberg di quella che sarebbe stata la prima terra emersa, il granito appunto, secondo per durezza solo al diamante, ma non meno prezioso e che, nonostante si presenti privo di trasparenza e lucentezza, è sempre stato largamente utilizzato, fin dalle civiltà più antiche, come custode sacro di tutti gli aspetti umani; una critica alla società attuale, un rimprovero al capitalismo che la sua autrice descrive così: «”Granito” è una bella critica alla società dei valori umana, portata dal capitalismo e dai sistemi di produzione, vite al limite, riparate da una vacanza l’anno o da piccole ambizioni personali».

Discorso che ben si congiunge a “Lose Yourself”, unico pezzo in lingua inglese, che Lola commenta: «Ricollegandomi a quanto appena detto, canto “Lose Yourself”, come a dire “perditi, che magari poi ti ritrovi”».

In ultimo, ma non certo per intensità e levatura, “Elettrochoc”, terza in tracklist, un vero e proprio omaggio ad uno dei cult della musica italiana, l’omonimo brano dei Matia Bazar. «Abbiamo scelto – racconta Lola – di rivisitare una delle canzoni che più mi stanno a cuore della discografica italiana anni ’80, mantenendo la stessa grafia del singolo dei Matia Bazar – Elettrochoc scritto con la “c” anziché con la “s” -. L’abbiamo riarrangiata con un altro concept sonoro elettronico. L’elettroschock ci sembra un argomento ormai passato, in realtà i reparti di psichiatria sono mondi chiusi, dove molto spesso, purtroppo, avvengono ancora oggi abusi sui pazienti, anche se non ne abbiamo notizia, producendo altri figli della sofferenza, violando nuovamente delle persone fragili».

Testi importanti, dalla matrice profonda e riflessiva, tutti scritti dalla penna sensibile e incisiva di Lola che, grazie alla resa musicale dei Workaholics, arrivano immediati nel loro eclettismo, trasmettendo all’ascoltatore un arcobaleno cromatico di sensazioni ed emozioni, che mette in luce la pluralità artistica della band toscana, lontana da etichette e classificazioni di genere e vicina solo al palpitante nucleo della musica e al suo imprescindibile valore di condivisione.

«”Puzzle di me” sono tanti frammenti uniti che, solo insieme, formano un’unità; un’unità che ritengo preziosa perché non si identifica da sola, bensì, sono i singoli frammenti a costituirla. Un’unità che non puoi scorgere nella sua totalità finché non hai osservato, in questo caso ascoltato, ogni singolo pezzo. Questo è il segreto della nostra identità; neanche il solo lavoro di studio può dare l’intera percezione della band, ma senza questa tappa, non potremmo avere la visione d’insieme. Per questo motivo, il nostro motto è “ogni cosa è importante ed è una conquista, fa parte di noi, è un elemento essenziale del nostro essere».
Lola.

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