La rock band tra le più rappresentative del centro Italia conquista il Baron Club di Roma
di Davide Iannuzzi
Visibilmente commosso dal ritorno alla scena live il frontman e leader degli iRose Paolo Borgi ringrazia il pubblico e alcuni presenti che hanno tangibilmente inciso nel mantenimento di una storia di quindici anni che stava rischiando di soffocare tra le spine del lockdown.
L’entusiasmo, la voglia di confronto diretto e il bisogno di condivisione rimasti per quasi due anni sotto naftalina tornano nebulizzanti tra respiri che inalano senso di libertà e voglia di normalità. È la funzione tra le più ataviche del rock, collante mediatico di generazioni a confronto e linfa vitale di nuove ere che osservano il domani senza dimenticare le ceneri del passato.
E il sound degli iRose lo scorso venerdì 8 settembre al concerto tenuto al Baron Club di Roma (evento promosso da Max Mosetti, autore e manager in forza all’etichetta discografica World Fonogram Records) ha dimostrato di saperle contenere tutte.
Sul palco con la band anche la potenza vocale della giovane Deborah Bright, già in odor di Sanremo Giovani, insieme a giri sincronizzati sulla rampa di lancio della World Fonogram Records, e fiori all’occhiello del suo special one, il Maestro Francesco Daniele a prova di scouting e di infaticabile ricerca di meritori profili artistici. Due brani dall’album in prossima uscita in duet vocal, “Silenzi ” e “Siamo liberi” con la Bright a dominare le vette vocali e Borgi a scolpire sinuosità armoniche e melodiche per un pubblico silenzioso, pronto ad esplodere l’applauso sull’ultima nota.
Gli iRose puntano evidentemente molto sulla cifra estetica della struttura riecheggiano leggende di assoli chitarristici in stile hendrixiano e gilmouriano ma con le giuste distanze mantenute dalla retorica dei rimpianti tempi che furono. Co fondatore della band con Paolo Borgi e firmatario di molti pezzi il chitarrista Riccardo De Angelis porta ad alto regime di giri la pedaliera affollata di multi effetti incastonati come rubini, rispolverando sonorità ora vintage, ora futuribili senza mai tradire l’intellegibilità della scansione diatonica dall’impatto immediato, quando apre le porte a riff graffianti e docili e sussurranti arpeggi. C’è anche la robusta sezione ritmica, quella di Fabio Latini alla batteria e Gabriele Persi al Basso per un timing robusto e stabile, creativo e fugacemente protagonista.
Il panorama musicale italiano, e non solo, ha bisogno di un vento che soffi di originalità, di proposte che sappiano congiungersi tra loro come anelli di continuità storica. Gli iRose dimostrano di saper guardare avanti. E forse, forti della consapevolezza di un consolidato passato per protendersi verso sogni di gloria tutt’altro che improbabili.