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MIQEDEM: IL DIALOGO INFINITO TRA PRESENTE, PASSATO E FUTURO

Con due album all’attivo la band israeliana ha portato nel mondo il suono ancestrale dei Salmi. Nell’intervista di Mattia Borelli con Shai Sol e Yaron Cherniak il viaggio culturale nella musica oltre il tempo

di Mattia Borrelli

Spesso ci chiediamo cosa sia l’identità; la maggior parte delle volte crediamo di rappresentarla come si fa a teatro, altre volte invece la esibiamo come un orologio al polso. È vero, non è facile. La verità di chi siamo si profila nello specchio di cosa scegliamo voler riflettere. D’altro canto, l’arte ci mette a nudo. E ogni volta che si manifesta il miracolo, scopriamo sempre di più chi siamo in questo eterno dialogo tra passato, presente e futuro. È così che voglio introdurre i Miqedem, un gruppo di musicisti che provengono da Israele. Il loro progetto è ambizioso: riportare i Salmi nella loro condizione naturale del canto. È un canto quello dei Miqedem che vibra da secoli, che non ha mai smesso di sussurrare alla sua gente. Ed è così che oggi sono riusciti, già con due dischi dietro alle spalle, a diffondere la loro musica non solo in Israele ma in diverse parti al mondo. Ho avuto l’immenso piacere d’intervistare due dei componenti del gruppo, ovvero Shai Sol e Yaron Cherniak.

La musica è una parte fondamentale della nostra vita; quando avete cominciato a farla e a capire di avere un personale modo d’interpretarla?

Shai Sol: All’età di sei anni mia madre mi regalò il darbuka. Vivevamo sole con poco denaro e con molti debiti. Purtroppo, poco tempo dopo aver ricevuto il mio regalo, gli esattori che reclamavano i propri crediti ci portarono via ogni cosa da casa. Ma non il mio darbuka. Mia madre allora mi disse che io avevo la mia propria musica e nessuno poteva portarsela via. Quelle parole m’incoraggiarono e da allora non ho più smesso di suonare. Così con il tempo cominciai a suonare vari strumenti (chitarra, piano etc.) e a scrivere la mia propria musica.

Yaron Cherniak: Iniziai all’età di quattordici anni a suonare la batteria, la chitarra e a scrivere le mie proprie canzoni. Ma il mio vero percorso lo trovai ai diciannove, quando cominciai a studiare la musica tradizionale persa. Per oltre tre anni nel centro musicale di Gerusalemme studiai la musica del medio oriente, appassionandomi sempre di più a molteplici strumenti tradizionali. All’età di ventiquattro anni mi trasferii a Barcellona, studiando il Tar (strumento a corde persiano) con un brillante maestro proveniente da Teheran. Dopo un anno ritornai in Israele, dove decisi di graduarmi all’Accademia Musicale. Continuai i miei studi del Tar in California per altri due mesi con un altro maestro iraniano. Nel frattempo continuavo a coltivare interesse per altri strumenti studiando a Creta la lira e in Svizzera la ghironda.

Agostino d’Ippona scrisse che “il cantare è proprio di chi ama”, frase trasformata nei secoli in “chi canta prega due volte”. A riguardo voglio chiedervi: come nasce un canto?

SS: Mi sembra molto appropriata questa citazione. Cantare per me equivale a pregare. Mi viene alla mente un mio brano uscito poche settimane fa dal titolo “Dibur Hatfila”. L’ispirazione l’ho trovata in un testo che compone il libro “Likutei Moharan” di Rabbi Nachman. Il brano parla di un uomo che cammina nei campi e capisce che le parole della sua preghiera risiedono nelle rose che raccoglie. Quel che voglio dire è che la parola in sé è una forma di preghiera; il canto così, diventa espressione diretta dell’anima.

Mi viene da chiedervi allora che cos’è il talento, caratteristica che avete in abbondanza. È un dono che proviene dall’alto o è frutto di una ferrea disciplina?

YC: Noi riconosciamo Dio, la sua parola e sappiamo che la vita proviene da lui. Questo concetto è qualcosa di fondamentale nel nostro percorso di vita. Fatto sta, se hai un dono e se vuoi ottenere dei risultati, devi comunque lavorarci sopra sviluppando ciò che ti è stato donato. Per suonare il Tar e ottenere un certo tipo di sensibilità che riguarda la cultura persa, ho dovuto studiare molte ore e investire molto denaro. Chi cerca il talento quindi non può permettersi di essere pigro.

Il popolo ebraico ha vagato per millenni nell’intera terra. Per questo motivo, ho l’impressione che il vostro personale modo di creare, sia un dialogo tra diverse culture e un riflesso dei meravigliosi echi del passato. Il tutto è evidente nelle vostre influenze musicali, dove percepisco diversi generi. Condividete questa mia idea?

SS: Certo, assolutamente. Il canto e la musica sono sempre stati fondamentali nella nostra cultura, a prescindere dal luogo in cui il popolo ebraico si trovasse. Personalmente, percepisco il mio canto molto vicino alle tradizioni del passato, in special modo mi riferisco allo Yedid Nefesh, un Piyyut (poesia liturgica ebraica) che viene cantato e celebrato come benvenuto allo Shabat. Ho imparato a cantare queste melodie soprattutto nella forma tradizionale marocchina. Questo mi fa sentire estremamente connessa con il mio popolo, avendo la consapevolezza che questi canti si sono perpetuati da diversi secoli e in diverse parti del mondo.

Yaron, ho sentito il tuo brano recentemente pubblicato dal nome “Ya Shema Evyonecha”. Mi sorprende come dei testi così antichi possano essere ancora così influenti.

YC: Questo poema (piyyut) è ricco di simboli e significati. È stato scritto da Yehuda Halevi, poeta e filosofo nella Spagna del X secolo. È importante che le nuove generazioni conoscano la nostra storia, i nostri suoni e la nostra cultura; questa è la mia visione. Così cerco non solo di preservare il nostro passato ma di dargli una nuova vita. Il brano difatti, è una nuova melodia che ho cucito intorno a questo testo storico; mi piace combinare della buona musica con dei bei testi.

Ho appreso che la parola Miqedem significa “dall’est”. Tuttavia penso che non contenga semplicemente un riferimento geografico.

YC: Infatti. Ci sono diversi aspetti simbolici e spirituali che riguardano la scelta del nome. Il sole nasce ad est, le porte del tempio di Gerusalemme erano rivolte verso l’est, Dio mise ad oriente del giardino di Eden dei cherubini per impedire l’accesso ad Adamo ed Eva e persino Abramo, era una figura che veniva dall’est dopo aver raggiunto la terra di Canaan. Insomma, i riferimenti e i significati sono molteplici.

Quando uscirà il prossimo album dei Miqedem?

SS: Speriamo che esca il prima possibile. Siamo stati insieme per circa due mesi dopo essere stati separati dalle restrizioni del Covid per diverso tempo e così, abbiamo cominciato a preparare la stesura del terzo album. Nonostante ci sia ancora del lavoro da fare, siamo arrivati comunque ad un buon punto.

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