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DEAN, RITRATTO DI UN NOBILE RIBELLE

Avrebbe avuto 90 anni ma ventiquattro di essi sono bastati a scolpire un simbolo inamovibile di modernità, coraggio e provocazione alle omologazioni sociali

di Paolo Marra

Essere ribelli non è uno status, è un modo di essere in rapporto col mondo, di guardarlo dal punto di vista delle proprie debolezze mostrandole a chi ti circonda come se fossero un muro invalicabile dietro il quale si annida il senso più profondo della fragilità umana. Un malessere interiore trasformato dalla cultura di massa in disagio anti-generazionale nella mimica sfacciata di un ragazzo di nome James Dean, nato novant’anni fa nello Stato americano dell’Indiana.

Scindere l’attore dal giovane uomo e il giovane uomo dell’icona ad uso e consumo del marketing costruito sull’effimero connubio “dannato e bello” risulta difficile in conseguenza della sovrapposizione di ruoli fuori e dentro la vita reale del nostro: la morte della madre per cancro quando il piccolo James ha soli 9 anni, l’educazione quacchera da parte dei parenti, la decisione di lasciare gli studi in giurisprudenza per inseguire il sogno della carriera come attore teatrale, il cattivo rapporto con il padre, gli abusi sessuali subiti da piccolo confidati all’attrice Elizabeth Taylor, la presunta omosessualità, la tragica morte a soli 24 anni in un incidente stradale sulla California State Ruote 46 mentre era alla guida della sua Porsche 550 Spyder sono il sottobosco delle figure tormentate di Cal Trask e Jim Stark interpretate dall’attore americano, rispettivamente, nei film “La Valle dell’Eden” di Elia Kazan del ’55 e “Gioventù Bruciata” di Nicholas Ray uscito lo stesso anno. Nelle due pellicole la cinepresa stringe l’inquadratura mostrando allo spettatore il primo piano delle frustrazioni adolescenziali di un’epoca fintamente patinata nel quale si cristallizza l’eterna incomprensione padre-figlio, l’emarginazione dal branco, la deriva del facile scherno in violenza psicologica e fisica, ad litteram del cyber-bullismo latente, l’alcolismo come ingannevole seconda uscita dai propri problemi, l’incapacità di amare perché ancora incapaci di capire se stessi.

L’istintuale capacità attoriale senza pari, a cui è mancato il tempo di sbocciare completamente, è la cifra stilistica di un attore che ha lasciato il segno nella cinematografica del ‘900 con tre pellicole memorabili- oltre alle due già citate, la saga drammatico-familiare de “Il Gigante del ’56- diventando l’unico attore nella storia del cinema ad ottenere due candidature all’Oscar postume come miglior attore protagonista. Ironia della sorte l’anno seguente Paul Newman raggiungerà il successo di pubblico e critica interpretando, accanto a quella che era stata la fidanzata di James Dean, l’attrice italiana Anna Maria Pierangeli, il ruolo del pugile Rocky Marciano nel film “Lassù qualcuno mi ama” proposto inizialmente all’attore scomparso.

Le istanze giovanili del decennio successivo di libertà ed emancipazione dal peso classista e bigotto della vecchia generazione uscita dalla Seconda Guerra Mondiale fino al nichilismo punk degli anni ’70 e l’edonismo della New Wave degli ’80 porterà con sé i problemi esistenziali dell’immagine iconica di James Dean con sigaretta penzolante dalla bocca, capelli sparati all’indietro con brillantina e camicia aperta a mostrare la mascolinità acerba figlia dello iato culturale dettato dalla velocità del rock &Roll e dalle pulsioni arcaiche del Bebop sulla strada di Jack Kerouac. La breve vita di un giovane americano nell’elogio del carpe diem oraziano, non nella connotazione sfrenata dell’autodistruzione, ma nel piacere di scoprire il presente in ogni suo momento per afferrare la felicità di “chi di giorno in giorno potrà dire: ho vissuto”.

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