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YILIAN CAÑIZARES, SINCRETISMO, EMANCIPAZIONE FEMMINILE E ARCHITETTURA MUSICALE

Intervista esclusiva con la bella e talentuosa musicista che celebra in un disco le virtù della dea Erzulie

di Paolo Marra

La cantante e violinista cubana Yilian Cañizares è una delle più ecclettiche e originali artiste del panorama mondiale. Cittadina del mondo- muove i primi passi nello studio del violino all’Avana, a sedici anni studia a Caracas in Venezuela, in seguito a 19 anni si trasferisce in Svizzera dove studia al Conservatorio di Friburgo e vive attualmente- sin dai primi lavori solisti crea, con una voce intensa e suadente e un’eccellente tecnica violinistica, un personale linguaggio musicale nel quale convergono stili, tradizioni e rituali eterogenei: musica cubana, classica, jazz e rituali Yoruba dell’Africa Occidentale mescolati con sofisticate orchestrazioni e uno sguardo attento alle nuove tendenze pop ed hip hop.

Nel 2015 incide l’album Invocación a cui segue nel 2018 l’album Águas registrato insieme allo sciamanico pianista cubano Omar Sosa- tracciando di fatto un percorso di sincretismo musicale e stilistico che la cantante cubana amplia nell’ultimo album “Erzulie”, uscito a Novembre 2019. Registrato nella città della Louisiana, New Orleans, luogo simbolo per antonomasia dell’incontro tra Caraibi, Africa, Stati Uniti e Europa, il lavoro discografico muove le mosse partendo dalla divinità femminile haitiana di libertà, amore e compassione, evocata dal titolo, per richiamare l’attenzione sulla resilienza delle donne di tutto il mondo, nella lotta per l’affermazione dei diritti di solidarietà e uguaglianza. Abbiamo intervistato Yilian Cañizares in occasione del concerto che la vedrà esibirsi il 20 novembre, in streaming, sulla piattaforma internazionale LIVE NOW, dal nuovo teatro di posa ad alta tecnologia allestito nella Sala Petrassi dell’Auditorium Parco della Musica, nell’ambito del Roma Jazz Festival.

photo by Gian Franco Grilli

Il tuo ultimo disco ha come titolo “Erzulie”, il nome della divinità femminile haitiana dell’amore, libertà e compassione: come queste tre qualità prendono forma musicalmente nel disco?

L’amore è la vera forza motrice che stimola il mio processo creativo. A mio avviso non esiste senza amore. Credo che questo tipo di energia si possa percepire in special modo in “Erzulie”, dalle prime note che aprono il disco fino ad arrivare alla parte finale. Per quanto riguardo la libertà credo di trovarmi in un processo molto interessante nel quale riesco a liberarmi di cose che non mi appartengono più, cercando così soluzioni più rischiose. “Erzulie” mi ha dato la possibilità di esplorare nuovi cammini, mettendo da parte le etichette che spesso mi addossano.. pubblico compreso. Voglio continuare a seguire con intensità questa libertà d’espressione che mi permette di volare semplicemente dove il mio cuore dica di farlo. Poi la compassione, ne parlo partendo da me stessa, dai miei difetti e dalle mia fragilità per poi amplificare il discorso con la musica e la mia relazione con gli altri. È bello sapere che non abbiamo bisogno di essere perfetti ma di essere profondamente umani.

Qual è stato l’approccio compositivo allo sviluppo dei brani contenuti nel disco?

Il processo è stato del tutto intuitivo. Non mi sono posta un criterio creativo, ma ho aperto un canale comunicativo per esprimere la mia anima, proprio in quel momento. E’ proprio in questo modo che sono nati i brani uno ad uno. Forse il mio unico criterio è stato quello di comunicare dal fondo del mio cuore con coscienza e con la minore quantità possibile di filtri.

Negli ultimi anni c’è stata una presa di coscienza maggiore nei riguardi del ruolo delle donne nei diversi ambiti istituzionali, lavorativi ed artistici: a che punto siamo nel percorso di costruzione di una società più egualitaria da questo punto di vista?

Bisogna seppellire molti anni di comportamento incosciente e disfunzionale e continuare a lavorare per ottenere una società più giusta ed egualitaria. Questo è un compito che riguarda tutti, uomini e donne; perché dal momento in cui non siamo tutti pienamente liberi, nessuno effettivamente lo sarà.

Quanto l’epidemia da Coronavirus incide sul processo dei diritti civili e femminili nel mondo e in particolare nell’aree nelle quali le discriminazioni sono più istituzionalizzate?

Forse una delle uniche cose positive di questa epidemia è che ci siamo resi conto di essere tutti connessi in qualche modo. Ciò che influisce su una persona in realtà influisce su tutti. Voglio cercare di avere una visione positiva di quello che stiamo vivendo e pensare che questo processo genererà più empatia verso tutte le minoranze della nostra società. Non mi riferisco solo alle donne, mi riferisco anche alle comunità nere e LGBT etc.

Nonostante le numerose influenze riscontrabili nei tuoi lavori hai sempre mantenuto come centro dell’espressione musicale la matrice cubana, con particolare riferimento alla tradizione Yoruba: quanto è stato importante mantenere tale connessione con la tue radici?

E’ molto importante. Non voglio semplicemente mantenere viva questa tradizione, ma evolverla. Voglio che i giovani di oggi e il pubblico in generale scoprano la ricchezza e la bellezza di questa cultura.

Il popolo cubano sta dimostrando una “Resilience”-come richiamato dal nome del tuo trio- molto forte verso la pandemia nonostante un embargo che dura ormai da sessant’anni da parte degli Stati Uniti. Un esempio di come si può resistere per rivendicare i propri diritti.

La Resilience è una delle caratteristiche più belle del mio paese e, oso dire, della mia personalità. Per questo ho chiamato così il mio trio. Specialmente ora, che abbiamo la scelta di rimanere con le mani in mano e lamentarci oppure adoperarci per continuare ad andare avanti. Io ho scelto la seconda opzione.

Come nasce invece il tuo incontro con la musica jazz?

Fin da piccola ho avuto la fortuna di essere esposta a diversi generi musicali. La mia famiglia mi portava ad ascoltare molti concerti di musica classica, cubana e anche di jazz. In seguito, trovandomi in Svizzera per i miei studi di violino, ho avuto la necessità di cercare cammini diversi che mi permettessero di esprimermi con maggiore libertà. E il jazz, ovviamente, mi ha ricevuto a braccia aperte.

Photo by Franck Socha

Nel precedente album “Águas” avevi collaborato con il pianista Omar Sosa: che cosa ha significato per te questo incontro?

E’ stato un momento molto importante per la mia vita, sia sotto il profilo professionale che personale. La collaborazione con Omar mi ha fatto crescere molto, non solo come musicista, ma anche come essere umano. Sento molta gratitudine nei suoi confronti per aver creduto in me e per esser stato il mio mentore.

Quanto è stato importante il violino- spesso associato alla musica classica- per la costruzione di un sound personale e nello stesso universale come quello che sei riuscita a costruire negli anni ?

Il violino è parte del mio corpo, è parte della mia anima. Mi sento molto lieta di aver potuto sviluppare un mio linguaggio, estremamente personale e onesto con questo strumento. Lieta, inoltre, di aver preso questo strumento dal suo contesto classico aprendogli nuovi orizzonti in altri generi musicali.

Quali sono state le influenze musicali più significative, come cantante e violinista, che ti hanno plasmato come artista?

Le influenze sono molte, posso menzionarti: Nina Simone, Grappelli, Chucho Valdés, Omar Sosa, Omara Portuondo, Sade.. ma la lista è ancora molto lunga!

Traduzione Mattia Borrelli

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