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IO TI CERCHERO’, DAL SET AL PALCOSCENICO IL TALENTO ISTRIONICO DI GIADA PRANDI

La popolare fiction di Rai Uno, in onda questa sera per il terzo episodio alle ore 21,25, continua a spopolare sul filo della misteriosa morte del giovane Ettore. Da una delle sue protagoniste, la chiave di lettura di uno dei più appassionati racconti televisivi degli ultimi tempi

di Davide Iannuzzi

I dati dello share di lunedì 12 ottobre parlano chiaro: la fiction diretta Gianluca Maria Tavarelli che ha come protagonisti Alessandro Gassman e Maya Sansa sfonda il muro del 19,5% contro contro il 18,7% del GF. Se il racconto di finzione batte il realismo dal sapore voyeur osservato dal buco della serratura il merito ricade sulla qualità di un format che si dimostra azzeccato, tanto nella costruzione del plot quanto nella scelta del cast e nelle performances dei singoli attori. Lo psicodramma di un padre che perde il proprio e unico figlio, la folle ricerca di una giustizia insabbiata dai suoi stessi garanti che ascrivono il decesso del ragazzo a presunto suicidio e la sopraffazione dei rimorsi di coscienza per un rapporto affettivo trascurato e incompiuto con il ragazzo scomparso, generano il bisogno di una figura mediativa, capace di addolcire le indomite turbolenze emotive. Il tema della conflittualità introiettata, ben dipinto dagli sceneggiatori Leonardo Fasoli, Maddalena Ravagli e Massimo Bavastro, si stempera nel personaggio di Lisa, cognata del protagonista e donna che assume la funzione di ago della bilancia. Comprensiva e accogliente la donna attenua il ruvido rapporto tra l’ex poliziotto Valerio (Alessandro Gassmann) e suo fratello Gianni (Andrea Sartoretti) poliziotto in piena carica, costantemente al bivio di una difficile scelta tra il pesante caso di famiglia che lo riguarda e il dovere di esercizio per la divisa che indossa. Mediafrequenza ha incontrato Giada Prandi, l’attrice di Latina che indossa i panni di Lisa e che ha già dimostrato nel corso degli anni di possedere una forte duttilità espressiva, capace di spaziare con facilità tra Televisione, Cinema e Teatro, con attenta interpretazione di fibrillanti nevrosi e sogni edulcorati.

Parliamo di Lisa, il personaggio che interpreti nella fiction che sta spopolando

Lisa è un’infermiera, una gran lavoratrice, donna empatica e accogliente. A motivo della sua professione sa come rapportarsi agli altri e soprattutto ai soggetti sofferenti. E’ la moglie di Gianni interpretato da Andrea Sartoretti. che è il fratello di Valerio, interpretato da Alessandro Gassman. E’ quindi la cognata di Valerio, il protagonista della fiction, personaggio conflittuale che si ritrova a indagare sulla morte del figlio che sospetta essere stato ucciso, ricoprendo verso egli un legame in precedenza soffocato da un rapporto padre figlio troppo distaccato.

Giada Prandi e Andrea Sartoretto – foto Rai 1

Lisa accoglie Valerio. Lei sa ascoltare ma è anche una donna riservata. Gli sta vicino mantenendo la distanza del pudore e del riserbo. E’ molto diretta. Il riserbo verso suo cognato è motivato dal burrascoso rapporto che egli ha con suo fratello e marito della donna. E’ l’ago della bilancia, un argine. Ma cerca anche di valorizzare e mediare il sentimento che ritiene esserci tra Valerio e Gianni. Nella scena del terrazzo emerge questo tessuto affettivo. Mi è piaciuto molto interpretare questo personaggio perché in parte mi assomiglia, se penso a come io stessa mi ritenga una donna amorevole, disponibile e ironica. Ci distinguiamo invece in quanto al mio modo di essere aperta e istrionica, estroversa. E’ stato interessante trovare il transfert partendo dai punti che avevamo in comune.

Quanto è stato faticoso indossare i panni di questo personaggio?

C’è uno sforzo di base ma non ho ritenuto faticoso questo esercizio a proposito di Lisa. I nostri contesti di vita sono diversi ma il lavoro di contestualizzazione del personaggio è risultato piuttosto fluido. E’ stato come se le due entità si siano avvicinate reciprocamente. Ma questo è stato possibile solo dopo aver analizzato le caratteristiche di Lisa e aver fissato i punti di incontro. Questo mi ha anche permesso di caratterizzare il personaggio e restare in sintonia con le idee del regista.

Alessandro Gassmann e Luigi Fedele

Quanto margine di interpretazione ti ha lasciato il regista Gianluca Maria Tavarelli?

Devo dire che Gianluca si fida molto degli attori che sceglie. E’ molto puntuale nelle annotazioni che fa prima di girare una scena, ma ti permette di lasciarti andare, soprattutto se ritiene che la scena va bene e se ti vede dominare il personaggio.

Anche se le fiction sono spesso considerate un’espressione d’arte inferiore rispetto al Cinema, questa in particolare si avvicina al Cinema per alcuni aspetti. Uno di questi è la fotografia.

Sono d’accordo. Il regista e il dop Marco Pieroni hanno sempre lavorato in simbiosi. La fotografia è un’aspetto fondamentale di questa serie perché conferisce ad essa un carattere tipicamente cinematografico. Da quel respiro internazionale di cui le nostre fiction hanno bisogno per poter essere all’estero. E’ una fotografia cruda, a tratti sporca, che accompagna un racconto moderno e vero. Anche nelle inquadrature più ricercate la verità di fondo che permea il racconto non viene mai tradita. Roma fa da sfondo a questa storia, quella Roma periferica e marginale che può avere la stessa forza narrativa e spettacolaristica della Roma di La Grande Bellezza. Penso che solo una fotografia aggressiva dai toni reportage poteva accompagnare il registro narrativo del protagonista di questa vicenda.

Restando dietro la macchina da presa, parliamo di come ti sei posta tu personalmente di fronte a questo stile di ripresa fatto ci continui e destabilizzanti movimenti di inquadratura, a proposito, appunto, di uno stile reportage.

Ho cercato di essere sempre molto attenta quando abbiamo provato le scene, ai movimenti che potevano essere previsti. Grazie anche alla bravura dei tecnici mi sono sentita come entrare in simbiosi con loro nel seguire le indicazioni. Mi sono lasciata andare completamente senza la minima percezione di barriere reali o immaginarie che potessero inibire la recitazione più fluida. Le prove prima del set sono fondamentali, non solo per gli attori ma anche per i tecnici. Basti pensare che anche una minima variazione di movimento può generare un fuori fuoco. Se non ci sono indicazioni particolari dalla regia quando recito non sono mai condizionata dallo stile di ripresa dell’operatore, anche se in ogni inquadratura ci si rapporta in diverso modo e la macchina da presa si trasforma in una presenza con la quale dover condividere la scena.

Ti sei formata all’Accademia di Arte Drammatica Silvio D’Amico. Cosa ti ha lasciato questa esperienza didattica?

E’ un pezzo importante della mia vita. Quattro anni di vita passati mattina e sera in accademia non si possono dimenticare. Sono entrata in accademia che avevo 19 anni. L’approccio all’insegnamento di alcuni insegnanti era irrigidito da un certo formalismo, e alcune volte distante dalle mie attitudini allo studio, probabilmente più vicine al modello inglese dove il teatro in fase formativa è percepito come un divertimento, con delle regole molto serie ma con ampi margini di spontaneità. Diciamo che il nostro modello di insegnamento punta i fari sul risultato finale, altrove i fari vengono puntati sul percorso che conduce al risultato, aggirando più facilmente l’insorgere di sindromi da prestazione. Tuttavia mi ha permesso di affrontare i successivi percorsi didattici, forte di tutti quei rudimenti e quelle nozioni che attengono alla formazione di un attore nella sua globalità. Diciamo che una volta trovata la forma non puoi permetterti di non trovare anche l’emozione, qualunque sia il percorso didattico che si è seguito.

In questo particolare momento di pandemia che ruolo gioca la fiction nel bisogno di emozione, evasione e intrattenimento?

In generale tutte le forme culturali sono nutrimento essenziale. L’arte e l’intrattenimento hanno arricchito le nostre vite nel periodo di lockdown, rendendo la pandemia meno buia e alienante. Tutte le forme di intrattenimento, compresa la lettura di libri hanno allargato gli orizzonti di molti che precedentemente non avevano concesso alla cultura un posto nelle prime file della propria vita. E’ chiaro che tutto questo genera l’esigenza di una sempre migliore proposta in termini di qualità.

Giada Prandi al Teatro in “Scritto apposta per me”

A proposito di forme di arte purtroppo attualmente in modalità sospesa tu hai lavorato molto in teatro. A quale dei personaggi di cui hai vestito i panni ti senti maggiormente legata?

Ogni personaggio mi lascia sensazioni diversamente belle. Spesso, in contesti non teatrali mi vengono in mente battute di personaggi che ho interpretato, e alcune volte faccio fatica a ricostruire il legame fra battuta e personaggio stesso. Uno dei personaggi che ricordo con molto affetto è quello di “Giulia sottana corta” nel monologo “Scritto apposta per me” di Aldo Nicolaj e per la regia di Massimo di Michele. Un personaggio tragicomico che mi ha concesso ampi margini espressivi. Giulia era un’attrice in disperata ricerca di una scrittura che potesse farla emergere. Un testo cinico e comico che trovava il suo apice nel breve provino che avrebbe sostenuto Giulia. Il racconto delle nevrosi che genera il mondo dello spettacolo inteso come metafora di tanti mondi in cui ci si riconosce.

E Nel cinema?

Ricordo con affetto il personaggio di Teresa nel film “l’Amore al tempo di Sh.rek” di Alessandro Dervisio. Una donna apparentemente molto compassata e forte come il suo stesso lavoro di medico le suggerisce, ma irrimediabilmente in costante ricerca di una più vera identità. Era una commedia psicologica che parlava di crisi matrimoniali e terapie di coppia sperimentali.

Hai avuto anche un’esperienza di lavoro con di Pupi Avati?

Interpretavo Magnolia in “Ma quando arrivano le ragazze”, un personaggio molto leggero. Una ragazza stralunata. Ero la fidanzata di uno dei musicisti di una jazz band. Che ricordo bellissimo. Lavorare con Pupi è sempre un’esperienza unica.

Ti vedremo tra breve in una produzione Disney interamente italiana

Eh si! Un serial Fantasy intitolato “I cavalieri di Castelcorvo”. Il mio personaggio è zia Margherita, quella zia pazza che tutti avremmo voluto avere da bambini. Lei vuole molto bene ai suoi nipoti Riccardo e Giulia, che la raggiungono a Castelcorvo dove la donna ha aperto un bed e breakfast. Le storie dei due ragazzi si intrecceranno con quelle di altri due coetanei del posto in una girandola di situazioni divertenti di un racconto a metà tra noir e commedia adolescenziale. Non vedo l’ora di poterlo vedere. E’ stata un’esperienza molto singolare non solo perché si è trattato del mio primo fantasy ma soprattutto perché è maturata poco dopo le riprese del crime “Io ti cercherò”. Poi è sempre bello per un attore sperimentare stili molto diversi tra loro. Zia Margherita mi ha permesso di lavorare sul mio lato bambino trovandomi a recitare con dei ragazzi. Un’esperienza di reciproco studio e apprendimento. I bambini hanno un approccio diverso sul set, proprio perché godono della liberta da sovrastrutture e paranoie tipiche del mondo adulto.

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