Conversazione privata alla Casa del Jazz di Roma. Luciano Linzi racconta il maestro con altre sfumature
di Paolo Marra
Per la video-intervista in programma con Luciano Linzi, Consulente artistico della Casa del Jazz, ho una scaletta di domande che vertono sulla rassegna “Festival Casa del Jazz Reloaded”: concerti in programma, artisti presenti, strutture organizzative…insomma tutto quello che bisogna sapere su un evento importante dell’estate romana, per di più in scena dopo un drammatico lockdown. Entriamo nella villa patronale dove è sito l’auditorium multifunzionale della Casa del Jazz, e veniamo invitati ad entrare nella Sala Multimediale al pian terreno. La costruzione della villa fu commissionata da Arturo Osio, socio fondatore della Banca Nazionale del Lavoro, all’ingegnere Cesare Pascoletti, alla fine degli anni trenta del secolo scorso. Da subito mi colpisce l’affresco del pittore Amerigo Bartoli su una delle pareti dell’ampia sala, in precedenza adibita a sala da pranzo, raffigurante una gremita Piazza Navona, realizzato anche esso durante la costruzione del complesso. Decidiamo cosi di fare l’intervista usando come sfondo la veduta di una delle piazze più rappresentative della Capitale. Ci sediamo uno di fronte a l’altro. Si inizia a girare. Le risposte di Luciano Linzi denotano competenza ma soprattutto grande sensibilità (due qualità che spesso fanno a pugni fra loro… non in questo caso!), in particolar modo nel sensibilizzare le istituzioni e il pubblico nei riguardi del difficile momento per l’intero comparto jazzistico italiano. C’è tempo, nell’ultima parte dell’intervista, per un ricordo di Luciano Linzi di Ennio Morricone, da poco scomparso- “Le occasioni in cui ho avuto modo di essergli vicino sono state sempre molto profonde e ricche di insegnamento. Era una persona completamente dedita alla propria arte, molto umile e concreto, coinvolto in tutto quello che faceva. Non aveva un grande amore per il jazz, anche se lo rispettava, però una delle sue eredità è l’universalità della sua musica, non appartenente a un genere, né casellabile. Una musica che travalica ogni confine”.
Alla fine dell’intervista, mentre il regista Davide Iannuzzi gira alcune riprese degli interni, l’atmosfera si fa più informale. Luciano Linzi con piacere rimane seduto continuando a parlarci del suo incontro con il grande Maestro Ennio Morricone- “Una cosa che mi diceva Morricone era che nel periodo passato come arrangiatore alla RCA, un lavoro che gli permetteva di andare avanti essendo a quell’epoca squattrinato, gli era stata lasciata piena libertà, senza precise indicazioni sulla strada da seguire. Morricone aveva usato questa esperienza per fare ricerca, anche nell’ambito della musica leggera. Negli arrangiamenti fatti per Paoli, Mina o piuttosto per la Vanoni, e tante altre, ebbe l’opportunità di sperimentare delle cose che poi ha utilizzato successivamente per le colonne sonore: l’uso di certi strumenti, di certe partiture, il fatto di non usare la ritmica ma solo gli archi, lo scacciapensieri, la chitarra elettrica un po’ distorta. Aveva usato tutto questo come palestra di ricerca”
– L’episodio narrato da Linzi mi fa venire in mente alcuni passi del libro “Inseguendo Quel Suono – la mia musica, la mia vita ( conversazioni con Alessandro Rosa), un compendio di riflessioni e racconti attraverso i quali viene sviscerata l’essenza di artista e uomo del Maestro. Condivido con Linzi una riflessione – “ Morricone sarà ricordato per le magnifiche colonne sonore che ha composto e diretto ma forse meno per quelle composizioni a lui più care, come la musica sacrale o assoluta nella quale la sperimentazione da te citata era constatemene presente. In questi giorni ci sono stati degli omaggi alla sua figura …ma forse si poteva fare qualcosa di piu!”- Luciano Linzi è d’accordo- “leggendo in questi giorni i quotidiani ho riscontrato che hanno parlato di lui e della sua musica commentatori, attori, critici cinematografici. Però non è stato affidato un articolo a una firma importante per uno studio anche breve di quello che è stato il valore musicale di Morricone – ci interrompe il regista per dirci di continuare a parlare mentre riprende i piani d’ascolto per montarli all’interno della video-intervista… –
“ forse”– rispondo a Linzi- “c’è stata un’assenza voluta da parte dei soliti intellutuali della musica”- Linzi ha un’opinione diversa-“ sai i giornali hanno preso oramai una direzione, parlo dei quotidiani, più verso l’aneddoto, la scorciatoia, anche in momenti come questi in cui si celebrano delle figure gigantesche. Chiamano De Niro, lui dice “ si bello, mi ricordo…forse Novecento” però poi?… va anche bene il parere dell’attore o del regista, però in equilibrio con il parere di chi si occupa di musica in quella testata, con una pagina dedicata…” Come dargli torto, penso! La conversazione sfuma con un breve accenno alla romanità non celata di Morricone e al suo essere timido e votato al lavoro, a un sacrificio messo a disposizione dell’arte attraverso un talento smisurato, ma silenziosamente mitigato dalla serena umiltà di artigiano. Un artigiano capace di dare forma ai percorsi espressivi della sua immaginazione, senza riserve. Un compositore del Popolo, nella tradizione di Donizetti, Rossini, Bellini, capace di creare una musica complessa, articolata, avanti con i tempi, mai però altera o sprezzante nei riguardi del pubblico, perché melodicamente democratica.