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QUEL LAVORATORE DANNATO CHIAMATO “ARTISTA”

Condivisione no profit non è promuovere la cultura. Recuperiamo i diritti dell’artista, e il suo valore aumenterà

di Paolo Marra

L’improvviso fermarci cercando di guardare dentro la sostanza delle cose ci ha fatto prendere coscienza di come le istituzioni abbiano legittimato l’idea comune, ancorata a “fisionomie sociali anacronistiche,“ dell’ inutilità dell’Arte come forma marginale intrattenimento, utile solo come diversivo in momenti di euforia collettiva. È stata legittimata l’idea che tutti gli artisti, strumentisti, cantanti, compositori, direttori d’orchestra comprendendo, in un lungo elenco di figure considerate marginali, tutti gli addetti alle diverse mansioni del mondo dello spettacolo siano “non lavoratori” a carico dello Stato. E per questo a carico del singolo cittadino di cui la società può fare a meno finché non si ritorni alla ” normalità”. Le cause di essere riusciti in tempi di lockdown a mettere gli artisti all’angolo, in attesa di decisioni mai arrivate, sono da imputare in primis a un sistema discografico deficitario colpevole di aver trasformato la musica in un oggetto “impalpabile” usa e getta sulle piattaforme digitali, a costo zero o nella migliore delle ipotesi a un costo irrisorio per chi con fatica vive di musica. Sia chiaro non stiamo parlando dei “soliti famosi” con guadagni milionari spesso non linea con la qualità della musica espressa, una piccola percentuale in confronto ai tanti artisti che vivono in maniera dignitosa d’arte come un artigiano ogni giorno cerca di fare tra mille ostacoli burocratici nella sua piccola bottega. La fruizione incontrollata della musica ha spogliato la musica del valore di formazione sociale all’interno della comunità relegando gli artisti al solo ruolo generalizzato di intrattenitori sul palco, giullari alla corte di un pubblico sempre più abituato all’ascolto veloce, spezzettato e omologato.

Il concerto, momento topico del rapporto fra il musicista e il pubblico, è la naturale prosecuzione di uno sforzo creativo personale impresso nel materiale sonoro che rappresenta l’espressione sublime dell’artista Per questo motivo il concerto non può essere l’unica fonte di sussistenza dell’artista. È ora di fare un passo indietro: la musica ha un costo, e dovrebbe essere fruibile in maniera gratuita solo, come del resto tutte le forme d’arte e la cultura in generale, per le classi meno abbienti. Questa è ormai un’ esigenza inderogabile.

Un CD, un vinile, musica e video su Youtube, i live streaming devono essere disponibili al fruitore a pagamento al fine di provvedere un reddito all’artista in qualunque ambito delle arti performative. Le istituzioni devono farsi carico di mantenere costanti i costi di tale fruizione evitando inutili speculazioni affinché l’artista possa essere finalmente padrone della propria creazione letteraria o musicale che sia. In questo modo anche il concerto assumerebbe il suo iniziale carattere di condivisione e confronto con un pubblico partecipante di un’ espressione assimilata e metabolizzata a livello individuale.

Ma non basta, l’artista deve essere considerato un lavoratore a tutti gli effetti, una figura professionale che mette al servizio della società le proprie competenze, che come esplicato dal principio lavorista della nostra Costituzione svolge “un’attività o una funzione che concorre al benessere materiale o (sottolineo) spirituale della società”.

Questo comporta un’adeguata copertura previdenziale del tutto assente, come abbiamo tristemente constatato in questo periodo di Epidemia da Covid-19. Bisogna fare uno sforzo congiunto perché ” la cultura quando è efficacemente tutelata, veicolata, organizzata e strutturata crea posti di lavoro presenti e futuri e di conseguenza introiti che se finalizzati alla formazione di figure professionali e alla conservazione di patrimoni artistici, molto spesso trascurati o addirittura dimenticati, diventa la linfa di cui si nutre per la sopravvivenza un Paese Democratico. Senza Arte non c’è crescita, senza crescita non c’è vita, senza vita non c’è Futuro”. Per capirlo basterebbe silenziare per un giorno piattaforme digitali, radio e sottofondi musicali nei più svariati luoghi pubblici. Ma forse non basterebbe…

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