Lo storico giornalista apre l’album dei ricordi di epoche e protagonisti irripetibili
di Paolo Marra
Nell’introduzione del suo libro “Absolute Beginners” Carlo Massarini parla degli originatori, di quegli artisti che hanno “dato il via” a quella meravigliosa storia universale che chiamiamo musica. Ma se dobbiamo parlare di una storia parallela fatta di racconti, incontri, immagini, competenza e passione, ingredienti imprescindibili del giornalismo musicale, Carlo Massarini in Italia, senza tema di smentita, ne è il massimo “iniziatore”: fotografo, giornalista, conduttore di programmi radiofonici e televisivi diventati pietre miliari come Popoff, Mister Fantasy e Ghiaccio Bollente ha saputo fin dai primi anni ’70 avvicinare intere generazioni a generi e artisti della musica internazionale, tra i tanti Bruce Springsteen e Jackson Browne, sconosciuti in Italia creando una pletora di appassionati diventati in diversi casi loro stessi voci, non sempre all’altezza dell’originale, della narrazione musicale. La ristampa del volume “Dear Mister Fantasy”, a 10 anni dalla prima edizione, rappresenta l’epitome di una vita vissuta sotto, a volte sopra e spesso dietro il palco ad immortalare con scatti e parole rivelatrici gli incontri con gli indiscussi protagonisti della musica contemporanea: David Bowie, Frank Zappa, Bob Marley, Peter Gabriel e tanti altri. Augurandoci di rivederlo presto in televisione in un programma da lui condotto abbiamo avuto il piacere di intervistarlo; un’occasione per fare una riflessione sul ruolo della musica e della tecnologia in questo difficile momento che stiamo vivendo, per parlare di Mr Fantasy e di una vecchia conoscenza, Bob Dylan…
Il tuo libro Dear Mister Fantasy mette insieme due arti a te molte care, lo storytelling e la fotografia: quali sono le circostanze che ti hanno portato a mettere al servizio della musica queste tue passioni?
La musica è arrivata presto, a 12 anni già compravo i primi 45 di beat italiano, e a 13 ho scoperto i Beatles e da lì è partito un amore senza fine. Nell’ordine poi sono arrivati prima la radio e poi la fotografia, quasi un complemento al fatto di essere in una situazione ideale: l’unico fotografo nell’unico programma rock, che accoglieva gli artisti stranieri che arrivavano in Italia. Chiaro che avessi un accesso privilegiato. Lo storytelling arriva molto dopo, quando ho cominciato a scrivere, e soprattutto quando in tv ho cominciato a raccontare le storie dei musicisti.
Quale significato vorresti che avesse il libro per le generazioni che non hanno vissuto quell’epoca?
Di essere una buona guida, quasi onnicomprensiva, di quel momento storico. Non un’enciclopedia, ma un –come l’ho chiamato- un foto-diario. E’ un libro molto personale, ma anche generazionale, perché migliaia di ragazzi italiani, milioni nel mondo, hanno condiviso quella musica e quegli artisti. Credo che attraverso DMF chi non c’era può fare un bel ricupero, e avere un’idea di cosa c’era. Consiglio anche di ascoltare una playlist mentre lo si legge.
Infatti oggi chiunque ha la possibilità di tirarsi giù una playlist degli artisti di cui parli nel libro, in un tale contesto come consideri il ritorno del vinile?
Credo che soprattutto su certi dischi il suono sia più caldo, più presente. Io i miei li ho tenuti tutti, ma trovo il cd più pratico, e personalmente la minima differenza che c’è non mi spinge a tornare al piatto e alla puntina. Nel frattempo, siamo arrivati ai file. Per i miei figli i supporti fisici sono inutili.
Il Libro ha come incipit “Foto racconto di un’epoca musicale in cui tutto era possibile”: potrebbe questa pandemia segnare un anno zero da cui ripartire per ricreare uno spirito di massa simile, in cui guardare il futuro, ma anche al presente, da una nuova prospettiva?
Sì, potrebbe, e me lo auguro. E’ una buona occasione per resettare, ripartire in modo diverso. Ma non sono affatto sicuro che la maggioranza coglierà questo sentimento. Penso che si rimetteranno più o meno come prima a fare e pensare le cose di prima. Cambiare comportamenti di massa non è cosa semplice.
All’inizio del libro c’è una dedicata di Jim Capaldi dei Traffic: come e quando nasce l’incontro con i componenti della storica band inglese?
Quando sono arrivati in Italia per la prima volta , nell’aprile ’73. Erano la mia band della vita, e lo sono ancora. Amavo la loro diversità, le loro contaminazioni. E la voce di Steve, fin dai tempi dello Spencer Davis Group. La sera del 1° aprile Capaldi arrivò in diretta a Popoff -–in ritardo, io con ansia da pesce d’aprile- e lasciò sul diario quella dedica che ape il libro (‘Power to Carlo – tell it like it is’). La mattina dopo, via nel bus con loro in tour, che emozione. Steve l’ho sempre vissuto da lontano, lui è molto timido e riservato, ma gli ho chiesto il ‘permesso’ visto che il Mr Fantasy originale è lui, anche se in Italia MrF sono io, e mi ha scritto quella dedica finale (‘ …you told it like it was’) che insieme a quella di Jim sono i bookends del libro.
Quali tra tutti i personaggi che racconti nel libro ti è rimasto più dentro?
I miei amori di quegli anni: Bruce, Jackson, i Talking Heads, Little Feat, Santana, Joni Mitchell, Marley, Jackson Browne. E, ovviamente, i Traffic. Ma anche De Andrè, Dalla, Bennato, Battiato, Finardi.
Come si contestualizza il lavoro del giornalista musicale oggi rispetto all’epoca raccontata nel libro?
In quegli anni erano relativamente pochi i giornalisti che si occupavano solo di musica. Poi le radio private e le tante fanzine hanno creato una generazione di ragazzi appassionati, alcuni dei quali hanno scelto di proseguire diventando conduttori radiofonici, giornalisti, produttori. Oggi siamo in un altro mondo: non più la macchina da scrivere, il gettone telefonico, le Case discografiche, il vinile. Quindi il lavoro del giornalista è molto diverso: le notizie sul web girano in tempo reale, i gruppi che non conosci li puoi sentire su Spotify e vedere su You Tube, e via dicendo. Ma quello che spesso manca è la cultura, la profondità, la conoscenza della storia di quello che è venuto prima.
Ghiaccio bollente è stato un programma, come gli altri da te proposti in televisione, fuori dal coro rispetto al trend televisivo abituale: l’allontanamento dalla televisione dopo la sua chiusura è stata una necessità o un imposizione ?
Ghiaccio Bollente è stato un tentativo di avere almeno un programma di cultura musicale in Italia. Non ce ne sono più stati altri. Mi è spiaciuto soprattutto per quello, molti ancora mi incrociano e mi chiedono ‘perché?’. Aldilà della ignoranza del Direttore di Rai5 di allora, che riteneva la cultura una cosa ancora da ‘800, la musica in generale non piace molto ai dirigenti tv. L’equivoco credo sia in quella parola che hai usato all’inizio, storytelling. Magari non t’importa di un gruppo, o di un genere, però le storie che ci stanno dietro sono spesso avvincenti, incredibili. Penso a quella lunga serie sui grandi del blues che ho fatto a Ghiaccio Bollente, sono vite che vale la pena essere raccontate.
Tu hai raccontando nelle tue trasmissioni come Ghiaccio Bollente il passato ma anche il presente della musica proponendo nuove tendenze e artisti spesso semisconosciuti in Italia: pensi che questo dialogo tra passato e presente sia essenziale per il futuro della musica come espressione artistica?
Stavamo con un piede nel passato e uno nel presente, guardando avanti. Secondo me l’equilibrio fra la storia e la cronaca è assolutamente essenziale se vuoi fare infotainment musicale. Dà tridimensionalità a tutta la storia.
In questo momento storico quanto paghiamo l’appiattimento culturale creato negli anni dalle reti televisive ma anche dall’industria musicale?
La televisione, soprattutto quella privata, ha proposto un modello apparentemente felice, ma sotto sotto molto negativo: puoi diventare famoso senza fare nulla, puoi guadagnare tanto anche se non lo meriti.
Quanto e in che modo la tecnologia può colmare il vuoto creato in questo momento dallo stop alle attività nell’ambito della musica e della cultura in generale ?
Sicuramente il web sta dando molte risposte, ha creato un mondo virtuale di connessioni e scambi personali che non si era mai visto in Italia. Visite museali virtuali, concerti telematici, streaming web casalinghi intorno al mondo della musica. Questo ‘incidente di percorso’ potrebbe aver creato forme di comunicazione -via web, ovviamente- diverse. E’ interessante, il webcast infotainment prima era per pochi, è diventato popolare.
C’è un certo smarrimento anche del mondo musicale davanti a questa pandemia e alle inevitabili conseguenze economiche, allora ci sarebbe da chiedersi : come avrebbero reagito gli artisti di quell’epoca, in cui tutto era possibile, a questa situazione: che ne pensi?
Puoi pensare a Live Aid o ad altri momenti di quegli anni. Ma questa pandemia è qualcosa di così nuovo che è più interessante notare come lo seguono gli artisti di adesso. Qualcuno in web, altri silenti a meditarci sopra, presumibilmente.
A proposito, che effetto ti fa sapere che Bob Dylan è al primo posto nella classifica americana con il brano “Murder Most Foul”?
Un clamoroso episodio di sincronicità fra due momenti di tragedie americane: l’omicidio più vile e il virus più letale. La morte di JFK e una pandemia. Uscito il giorno in cui gli USA guadagnavano il triste primato di paese più contagiato del pianeta. C’è qualcosa di simbolico in questi due casi, distanti 57 anni. Poi, 17 minuti di viaggio nei tanti modelli, riferimenti a stelle e strisce di Dylan stesso, che come un Bogart in Casablanca chiede al dj di suonarglieli, uno dopo l’altro. A me è piaciuta molto, questi – anche se non scritti per l’occasione, ma anni prima – sono brani che rimarranno per sempre legati a questo momento.