Le misure estreme anticontagio aggrediscono la libera circolazione, vacillano i principi fondamentali della UE mentre si prospettano scenari foschi pre trattato di Schengen
di Paolo Marra
L’invito “Restate a casa” sta diventando con il passare dei giorni un avvertimento a livello internazionale di ben altre proporzioni, con implicazioni politiche ed economiche dagli effetti imprevedibili. “Restate chiusi nella vostra nazione” sembra essere il grido d’allarme dei capi di stato e di governo dei paesi di un mondo che pensavamo globalizzato e che invece si scopre ancora una volta fragile e incapace di trovare soluzioni di ampio respiro davanti a un’ epidemia che mette paura per numeri di decessi, per l’impatto sociale e sulle piccoli e grandi economie nazionali. Laddove non sono arrivati i slogan nazionalistici dei sovranisti di turno è arrivato il Covid-19. Ma se da una parte gli Stati Uniti sospendono tutti i viaggi dall’Europa, compresi quelli dalla Gran Bretagna, otto paesi dell’Unione Europea Germania, Austria, Ungheria, Repubblica Ceca, Danimarca , Polonia, Lituania, Estonia e più tardi la Spagna, a cui si sono aggiunti Svizzera e Norvegia, non membri dell’Unione Europea ma della zona Schengen, hanno notificato l’introduzione di controlli alle frontiere. Tale presa di posizione prevede il divieto totale di ingresso per chi non è residente e controlli sanitari per chi entra.
Non sorprende il fatto che tra i paesi elencati ci sia l’Ungheria nota per le sue politiche anti immigrazione e per la difesa dei propri confini e sul quale il Ministro degli Esteri ungherese si era espresso, meno di un anno fa, in maniera chiara appellandosi al “ bisogno di rispettare le regole di Schengen difendendo in modo efficace i confini dell’Unione Europea”. Le stesse norme e disposizioni che prevedono la libera circolazione dei cittadini e un’unica frontiera esterna, messe ora in discussione. Una presa di posizione preoccupante e inefficace allo stesso tempo alla luce delle restrizioni all’interno dei singoli stati, risultate efficaci nella maggioranza dei casi a contenere l’espansione del virus, e della diffusione “già in tutti i paesi ” del coronavirus, come dichiarato dal portavoce della Commissione Europea Eric Mamer secondo la quale “ la chiusura dei confini tra i nostri paesi non è il modo migliore per bloccarlo”. Una chiusura dei confini che andrebbe a penalizzare la libera circolazione delle merci e di conseguenza tutta la filiera della produzione e distribuzione dei generi alimentari, “di medicinali e di protezione”, andando a peggiore una situazione economica già difficile.
A Bruxelles cercano di riparare alla situazione chiudendo i confini esterni e ammonendo i Stati sul fatto “che non possono essere discriminati i cittadini in base alla nazionalità “. Se questo servirà ad evitare uno scenario pre-trattato di Schengen, andando a minare le fondamenta dell’Unione Europea già vacillanti a seguito dell’effetto domino della Brexit, si vedrà nei prossimi giorni. Ma ad essere messi in discussione sono anche i principi alla base di un sistema globalizzato basato sull’ interdipendenza e interscambio commerciale e culturale tra le persone di ogni parte del mondo. Un ombra che si affaccia sulla future politiche nazionali minacciate da isolazionismo e smania di autoritarismo da non sottovalutare.