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PINO PECORELLI E L’ORCHESTRA DI PIAZZA VITTORIO, UN LEGAME INFINITO

Incontro con il bassista e cofondatore che ha reso sinfonici i valori dell’accoglienza e della solidarietà

di Paolo Marra

Ideata e creata dal regista Agostino Ferrente e il compositore Mario Tronco nel 2002 L’Orchestra di Piazza Vittorio è diventata nel tempo centro d’accoglienza di oltre 100 musicisti stabili provenienti da latitudini e ambienti musicali dei più disparati. Ognuno di loro, come viene narrato in una serie di concerti che hanno portato in scena con il titolo “Il giro del mondo in 80 minuti”, ha portato con sé, salendo su una simbolica nave in viaggio nell’agitato mare dell’odio e dell’indifferenza, una canzone, un motivo, un ritmo, uno strumento o una voce per condividerla con gli altri componenti e con un pubblico sempre più numeroso. Nel loro ultimo lavoro ci riconsegnano l’essenza del significato racchiuso in uno dei cori più importanti della storia dell’opera lirica, il Va’ Pensiero di Giuseppe Verdi, contenuto nel terzo atto del Nabucco in una versione aggiornata all’attuale situazione sociale italiana sempre più multirazziale e cosmopolita: non più inno patriottico preso a prestito da correnti sovraniste e scissioniste ma simbolo di unioni di voci differenziate, di tradizioni e culture interdipendenti, di speranza e di rispetto per diritti inviolabili di libertà riconosciuti e garantiti dalla nostra Costituzione. L’aria Verdiana è inclusa nel progetto “L’Orchestra di Piazza Vittorio all’Opera” che si propone di portare in concerto in diverse città italiane e all’estero, in una veste musicale del tutto nuova e inedita, arie tratte da altrettante famose opere liriche: la Carmen di Bizet, il Flauto Magico e il Don Giovanni di Mozart.
Abbiamo incontrato Pino Pecorelli, bassista e cofondatore dell’orchestra di Piazza Vittorio, per parlare di un progetto musicale e solidale che ci fa sentire allo stesso tempo cittadini del mondo e italiani migliori.

Come ha preso forma il progetto “L’Orchestra di Piazza Vittorio all’Opera” in cui convogliano musica contemporanea e il repertorio operistico?

È un percorso partito nel 2007 quando fu chiesta al nostro direttore artistico Mario Tronco da parte di Daniele Abbado una ouverture del Flauto Magico di Mozart con l’organico dell’Orchestra di Piazza Vittorio nel “Flauto Magico di Strada” immaginato nella città di Reggio Emilia. Il risultato di quella esperienza fu che i musicisti stessi che fino ad allora non aveva mai suonato quel tipo di musica, e in alcuni casi neanche conoscevano Mozart, trovarono un’ affinità con la loro musica divertendosi molto. Come succede spesso all’interno dell’orchestra l’idea è stata quella di andare incontro sia al livello tecnico sia alla visione artistica di ogni singolo interprete. E questo fa sì che di Mozart, Bizet o di Verdi resti l’impalcatura melodica e armonica ma poi suoni come una composizione originale dell’orchestra stessa.

Un opportunità per aprire le porte a una musica considerata di nicchia alle classi popolari o semplicemente per avvicinare appassionati di ogni età?

Lo è senza dubbio, è capitato soprattutto nelle tournée dedicate all’approfondimento delle opere fatte fino adesso, eseguite in contesti in cui c’erano molti giovani che non conoscevano l’opera Mozartiana o di Bizet, di avere visite in camerino di ragazzi che ci dicevano “che figata domani mi vado a scaricare Mozart”, in maniera inconsapevole abbiamo fatto scoprire la musica classica a gente che prima la guardava a distanza. L’obiettivo è di avvicinare il popolo a contesti che sono più “borghesi.

Il brano è accompagnato da un video diretto dal regista e attore Francesco Cabras: Qual è il significato dell’uso di una serie di primi piani dei vari componenti dell’orchestra di cui si compone il video ?

Il video vuol essere, sia per il significato del brano sia per quello che in Italia è diventato negli anni, per il regista Francesco Cabras un modo per focalizzare l’attenzione dello spettatore sulla diversità dei singoli interpreti che pur provenendo dalle parti più disparate del mondo, in base al concetto di patria perduta del Va’ Pensiero, diventano tutti facenti parti della stessa terra. Il messaggio originale di Verdi era quello della patria perduta da parte degli schiavi ebrei che in Babilonia cantavano l’amore per la terra che non potevano tornare a vedere, nel nostro caso, a parte questo primo importante significato, ce n’è un altro che è quello di ritrovare il senso della comunità in un contesto sia nazionale che mondiale nel quale la multietnicità è diventata normalità nelle città ma viene vista, soprattutto da chi governa o da chi vuole cavalcare le paure del popolo, un impedimento alla difesa della Patria, ma tanto per tutti i componenti dell’orchestra, quanto per me, l’Italia è la loro nuova patria. Ma la politica arriva sempre un po’ in ritardo rispetto alla società e forse tra dieci anni in Italia questo sarà un concetto considerato normale.

Un atto d’accusa politico o un monito per chi usa il Va’ Pensiero per dividere e non per unire.

La prima lettura delle cose è quella musicale, ma cantare per il gruppo che siamo un brano di questo tipo nel momento storico che stiamo vivendo in Italia significa dire qualcosa da un punto di vista politico per sottrarlo a chi nello specifico la Lega raccontava che il Va’ Pensiero dovesse essere un inno indipendentista della Padania. L’Orchestra di per sé fa politica con la propria attività, la maggior parte degli artisti che suonano stabilmente nell’orchestra negli anni sono diventati cittadini italiani, ma perché hanno raggiunto quello status economico e sociale di continuità di lavoro che gli ha permesso di prendere la cittadinanza italiana; grazie al proprio talento sono riusciti a fare degli step sociali importanti, e noi raccontiamo semplicemente che, là dove c’è un progetto condiviso e persone di talento vengono messe nella condizione di esprimere le proprie qualità, c’è una possibilità per tutti.

Il processo socioculturale della globalizzazione che cosa ci ha fatto perdere e dall’altra parte cosa ci ha dato?

Da sempre gli esseri umani si sono incontrati e scambiati il loro bagaglio culturale, hanno fatto crescere l’arte e i popoli; tutta la storia della musica è fatta di spostamenti da una parte all’altra del mondo. Tutta la musica del ‘900, tutta la musica che si sente in radio in qualsiasi paese del mondo e in qualsiasi momento è frutto dell’incontro fra bianchi e neri. La globalizzazione nella musica è fondamentale, il problema è la commercializzazione dell’incontro quando si impone un suono in particolare in una cultura che non c’entra niente. Oggi probabilmente in Senegal o in Etiopia, o in altri paesi che abbiamo visitato, un quindicenne vuole fare il Trap con gli strumenti che fornisce il web piuttosto che cercare di capire come sviluppare il suono della propria terra.

A livello personale quale è stato l’arricchimento musicale e umano che hai avuto facendo parte dell’Orchestra di Piazza Vittorio?

Faccio fatica a trovare quale non è stato il mio arricchimento, non saprei dire dove mi ha tolto qualcosa, questo progetto è un grande “Paese dei Balocchi”, non potrei farne a meno.

Che cosa rappresenta per te e per i musicisti che ti accompagnano il Rione Esquilino a Roma dove sorge Piazza Vittorio?

Mario Tronco il nostro Direttore ha vissuto lungamente a Piazza Vittorio ed è proprio lì che ha avuto l’idea di portare avanti il progetto insieme al documentarista Agostino Ferrente che poi ha realizzato il film sull’ Orchestra di Piazza Vittorio uscito 14 anni fa. L’Esquilino era il crocevia dell’immigrazione quando l’orchestra è nata, il luogo di Roma dove era facile incontrare le comunità degli immigrati perché il mercato ortofrutticolo della piazza vendeva e vende cibi da tutto il mondo. È un simbolo importante di condivisione di spazi, un luogo dove è stato possibile, soprattutto grazie all’associazione Apollo 11, che ha sostenuto l’orchestra nei primi anni, creare esperimenti di incontro e di scambio. Siamo ben contenti di raccontare il significato di quel luogo sia in Italia che all’estero.

Tu sei il direttore artistico anche della “Piccola Orchestra di Tor Pignattara ”, un progetto incentrato in particolare sui giovani artisti.

È un orchestra di adolescenti figli dell’immigrazione, il seguito dell’orchestra di Piazza Vittorio, perché si rivolge a quelle che vengono definite le seconde generazioni. Un esperimento nato sette anni fa, inizialmente con pochi adolescenti figli di coppie miste, immigrati che hanno avuto figli in Italia, minori non accompagnati, italiani… è nato con l’idea di utilizzare la musica per dare l’opportunità a chi si sentiva poco integrato di trovare una propria collocazione in città e anche per sensibilizzare l’opinione pubblica sulla necessità di creare delle situazioni per i giovani che attraverso l’uso dell’arte e in particolare della musica potessero far confrontare giovani di varie etnie e di varie provenienze sociali e culturali sull’importanza di guardare a questa nuova Italia che si sta formando anche in campo artistico, basti pensare a chi ha vinto Sanremo l’anno scorso. Molti di loro nel frattempo sono diventati ventenni . A breve usciremo con un nuovo disco di musica originale

Con questa orchestra la musica vira su altri generi.

Essendo ragazzi nati in Italia a cavallo del duemila sono interessati più alla loro musica che a quella dei loro padri. Sono loro stessi a fare la proposta musicale. Non c’è condivisione di materiale etnico che però lo si scopre strada facendo.

Come vengono finanziati questi progetti visto che In Italia diventa sempre più difficile produrre e distribuire realtà musicali che sono al di fuori del grande circuito commerciale?

Talvolta grazie alle fondazioni che sostengono queste operazioni. Fondazioni che hanno a cuore lo sviluppo delle competenze delle nuove generazioni e la loro crescita culturale. Discograficamente il percorso è molto più complicato, ma lo è per chiunque in questa fase storica, perché sono cambiati i formati, il rapporto con la musica, l’idea stessa di musica. Noi siamo spettatori che devono cercare di interpretare e capire i vari segnali e trovare il modo di permettere anche ad esperienze come quella della “Piccola Orchestra di Tor Pignattara ” di diventare competitiva in un ambito commerciale

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